Nella zona grigia delle «Lettere da Guantanamo» l’eredità dell’11 settembre
Scaffale Il libro di Laura Silvia Battaglia, giornalista e documentarista, conduttrice di Radio3Mondo, pubblicato da Castelvecchi. Un viaggio dentro un’anomalia giuridica, luogo fantasma, mostro legale reso possibile da uno dei primi casi contemporanei di esternalizzazione delle frontiere
Scaffale Il libro di Laura Silvia Battaglia, giornalista e documentarista, conduttrice di Radio3Mondo, pubblicato da Castelvecchi. Un viaggio dentro un’anomalia giuridica, luogo fantasma, mostro legale reso possibile da uno dei primi casi contemporanei di esternalizzazione delle frontiere
A vent’anni dall’11 settembre del 2001 analisi e dibattiti hanno occupato le pagine dei giornali e i minutaggi di radio e tv: com’è cambiato il mondo, cosa resta del 9/11. Tra i temi meno affrontati c’è la revisione profonda dei concetti di sicurezza e di terrorismo, categorie trasfigurate nella giustificazione per ridurre lo spazio dei diritti e i confini della legge internazionale e per ampliare il controllo sociale di pezzi di società considerati nemici.
E poi c’è il tema, stringente, della trasformazione dei servizi di intelligence internazionali, degli strumenti utilizzati per garantire «sicurezza» e combattere «il terrore»: tecnologie pervasive per il controllo sociale, extraordinary rendition, leggi liberticide (dal Patrioct Act americano all’uso capillare dello «stato di emergenza») è molto di quello che resta dell’11 settembre. È in questo mega contenitore che rimangono intrappolati i detenuti di Guantanamo (779 dall’apertura nel 2002, 39 ancora detenuti).
ALLE LORO STORIE, in particolare a quelle dei prigionieri di origine yemenita, è dedicato Lettere da Guantanamo (Castelvecchi, pp. 96, euro 13,50. E in edicola con Left) di Laura Silvia Battaglia, giornalista e documentarista, conduttrice di Radio3Mondo. Il libro è un viaggio dentro un’anomalia giuridica, luogo fantasma, mostro legale reso possibile da uno dei primi casi contemporanei di esternalizzazione delle frontiere. Guantanamo è un super carcere costruito al di fuori del territorio statunitense e destinato esclusivamente ai sospettati di terrorismo e di appartenenza ad al Qaeda, catturati in Asia, rinchiusi in centri segreti della Cia e poi deportati con la prospettiva mai concretizzata di un processo equo o almeno di accuse certe.
Battaglia dà la parola ad alcuni di loro, liberati dopo anni di torture e abusi, un rilascio che però è solo apparente: trasferiti in paesi alleati degli Stati Uniti di cui non parlano la lingua e non conoscono la cultura, impossibilitati a tornare a casa, persone come Faiz Ahmad Yahia Suleiman in Sardegna o Hussein Salem Mohammad al-Merfedy in Slovacchia conducono oggi una vita in celle senza sbarre, in cui ricostruirsi un’esistenza è utopia.
DECINE quelli ancora detenuti, stretti nell’ennesimo girone di un limbo infinito, ovvero le promesse di chiusura di Guantamano da parte dei presidenti democratici post-Bush jr (prima Obama, ora Biden): promesse mai mantenute. Per loro parlano le famiglie. L’autrice le incontra, si fa guidare in vite sfigurate dalle decisioni di figli o fratelli, spesso loro stesse oggetto di persecuzioni da parte delle autorità yemenite.
L’11 settembre non è mai finito. Esaltato con conflitti brutali che hanno devastato Afghanistan e Iraq e che colpiscono, centellinando gli attacchi, l’intera regione con guerre a distanza, l’attentato alle Torri Gemelle ha dato il via libera alla demolizione, pezzo dopo pezzo, di ogni garanzia legale e del muro – già scalfito – del diritto internazionale. Le storie di singoli uomini, fatti scomparire dentro la zona grigia di Guantanamo, spogliati di diritti e dignità è forse il modo migliore per ricordarne l’esistenza e «quel che resta» del 9/11.
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