Cultura

Nella moltitudine dei corpi

Nella moltitudine dei corpiMoltitudini / Ikon Images, Ap

ITINERARI CRITICI Un percorso di letture recenti sulla disabilità, tra saggi, traduzioni, libri illustrati, riviste e autobiografie. La questione è politica e la necessità è di nominare anzitutto l’abilismo, un sistema di pensiero e di potere che genera oppressione e discriminazione. Da «Mezze persone», di Elena e Maria Chiara Paolini a «Neurodivergenti», di Eleonora Marocchini. Tra i testi esperienziali più incisivi c’è «Canti della Nazione Gorilla», firmato dall’antropologa ed etologa Dawn Prince-Hughes, un viaggio attraverso l’autismo

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 17 settembre 2024

La discussione pubblica sulla disabilità continua ad animarsi anche in Italia con alcuni volumi recenti e in traduzione. È una buona notizia, visto che i disability studies sono attualmente tra i più interessanti – insieme al femminismo e all’antispecismo – riguardo elaborazioni teoriche, pratiche e occasioni per comprendere il mondo e i corpi che lo abitano. Ancor prima di nominare la disabilità, nella sua ineluttabile declinazione plurale, è anzitutto l’abilismo che, da un punto di vista politico, si deve decostruire. Dopo averne appreso l’esistenza. Lo spiega con precisione un libro scritto a quattro mani da Elena Paolini e Maria Chiara Paolini che si intitola Mezze persone. Riconoscere e comprendere l’abilismo (Ventura Edizioni, pp. 207, euro 16 – pubblicato la prima volta due anni fa per Aut Aut). Sorelle e disabili, saggiste e attiviste, le autrici da sempre si impegnano nel desiderio di confrontarsi e trovare i modi di affrontare «una società escludente e segregante». È un testo brillante, utile e al contempo chiaro, come un altro loro libro uscito un anno fa, Che brava che sei! (Laterza, pp. 180, euro 16, con illustrazioni di Claudia Flandoli), firmato Witty Wheels, ovvero il nome del blog che nel febbraio del 2015 Elena e Maria Chiara Paolini hanno fondato, una delle prime esperienze italiane sul tema e foriera di collaborazioni, consulenze e formazioni con altre realtà e collettivi.

L’ABILISMO è la discriminazione e lo stigma verso le persone disabili, così scrivono le autrici in una definizione semplice e inaggirabile, la cui disamina è inframezzata, lungo le pagine, da esempi e aneddoti quotidiani. È un sistema di pensiero (in cui siamo immerse e immersi) che si traduce in un sistema di potere. Con altrettanta determinazione, lo scrive anche Ilaria Crippi (intervistata in queste pagine in aprile) nel suo recente e prezioso Lo spazio non è neutro (Tamu edizioni).
Di questa oppressione sistemica tuttavia, pari a sessismo e razzismo, si parla meno. Le ragioni di tale esitazione risiedono nel privilegio assoluto e performante che i corpi-menti non disabili hanno in garanzia (e in consegna) da standard prestazionali, in poche parole dettati dal capitalismo. Con la conseguenza di marginalizzare gli altri e di mostrare la violenza di una «norma» e di una «anormalità». L’immaginario che sta intorno brulica di stereotipi dal caritatevole al tragico, con tinte buoniste o solo banali.

LA QUESTIONE è invece qui politica. E se la disabilità come «problema individuale» è una trappola capitalistica, la sua lettura potrebbe seguire quel «modello sociale» su cui molto si è speso il sociologo inglese Michael Oliver. È del 1990 il suo The politics of disablement, tradotto in italiano per Ombre Corte da Enrico Valtellina (Le politiche della disabilitazione, 2023) che firma un’ottima prefazione. Spostare il punto di avvistamento da una condizione esclusivamente medicalizzata a un attraversamento dei saperi è cruciale, così riconoscere una oppressione. In questa direzione va anche la rivista interdisciplinare e bilingue «Minority Reports» di cui gli ultimi due numeri usciti di recente per Mimesis (n.16, pp. 264, euro 20; n. 17, pp. 232, euro 20), curati da Enrico Valtellina e Fabio Bocci, sono dedicati al tema: Freakery. La costruzione del «mostro», con numerosi contributi e approfondimenti che vanno dalla letteratura alla sociologia e non solo. Congiunzioni impreviste e generose che consentono di leggere della scrittura di Guadalupe Nettel e, in un’altra sezione, del ritratto di Pietro Valpreda. Con un occhio di riguardo a ciò che, ultimamente, è un aspetto specifico interno ai disability studies: l’autismo.

Tra i titoli più efficaci apparsi ultimamente in libreria basterebbe citare La città autistica, di Alberto Vanolo (Einaudi; intervistato in queste pagine in maggio) e Neurodivergente. Capire e coltivare la diversità dei cervelli umani (Tlon, pp. 152, euro 15), di Eleonora Marocchini. Se il primo è ripensamento e invenzione di uno spazio urbano vivibile e praticabile non solo per chi ha una condizione di neurodiversità, il secondo saggio è un’analisi che dà lo sfondo teorico, storico e culturale in cui si scandagliano una serie di categorie a partire dalla parola che titola il volume, semanticamente complessa. Ché dà conto delle differenze non solo lessicali: neurodiversità non significa neuroatipicità, ad esempio.

MAROCCHINI SINTETIZZA efficacemente alcuni scenari, legati ai movimenti sociali e alle comunità di riferimento, trovando le parole che mancavano, come appunto accade a «neurodiversità» alla fine degli anni Novanta grazie alla sociologa australiana Judy Singer. Niente impedisce di osservare il tema della disabilità, e dell’autismo in particolare, come oggetto culturale e preziosi sono gli interventi che hanno dato l’avvio da alcuni anni a un dibattito accademico in cui a prendere parola sono, nella maggior parte dei casi, persone con disabilità. È una scrittura dunque, anche quando arriva all’accademia, legata a esperienza diretta o di stretto contesto. Ed è ciò a renderla radicale, già contaminata, non slegata dall’attivismo e dai corpi in quella che si chiama convergenza delle lotte; un’alleanza in cui non si parla o agisce per conto di altri. Anche le testimonianze, le biografie, i memoir e gli autoracconti sono una fonte notevole: il caso di Canti della Nazione Gorilla. Il mio viaggio attraverso l’autismo è emblematico perché è un capolavoro di presa di parola pubblica e di scrittura.

L’AUTRICE è Dawn Prince-Hughes, antropologa, primatologa ed etologa che attualmente insegna alla Western Washington University e che ora possiamo leggere anche in Italia per le Edizioni degli animali (a cura di feminoska e Marco Reggio – che firmano una efficace nota introduttiva al volume oltre che un’intervista all’autrice in calce al testo; traduzione di feminoska e postfazione di Enrico Valtellina, pp. 262, euro 22).
Originariamente pubblicato nel 2004, il testo segue la storia della sua autrice che scopre in età adulta di essere autistica in una vita colma di cambiamenti, tagli e consapevolezze. Eppure, per una serie di ragioni che lei stessa mette in fila, non si è mai accorta di avere la sindrome di Asperger, anche essendo cosciente di «essere diversa», «ho sviluppato uno stile di vita – scrive Prince-Hughes – in cui riuscivo a sfruttare la mia intelligenza per trovare modi per apparire normale». Il libro restituisce però di più: una emersione dall’oscurità, la chiama l’autrice, che non ha lo scopo di fornire parabole edificanti o di successo, bensì le disvela «un senso differente, pieno di meraviglia e scoperta, e pieno dei sentimenti che così poeticamente danno forma a ogni vita umana». Da chi lo impara è presto detto: dai gorilla che «come le persone autistiche sono esseri incompresi». Incontrati in uno zoo in cui le capita di lavorare, li osserva silenziosa, ne perlustra i rituali, i gesti, ne sente l’odore. Fino a quando un giorno, mentre lei posa le fragole tra ciascuna delle sbarre, lui le prende per mangiarle e le dita si sfiorano, poggiandosi una sull’altra, la distanza dei loro visi è intanto di quindici centimetri.

L’EPISODIO, durato un tempo indefinito, viene descritto da Prince-Hughes nella emozione inedita di rilassarsi a quel tocco. Pensa che significhi proprio questo amare ed essere amati, si sente meno sola. La condivisione con i gorilla, lo dice più avanti e in numerosi aneddoti, è la vulnerabilità, la ferocia e l’amore. Ma è molto di più, anche qui, è il contatto con la sua parte primordiale cui prima aveva accesso da un lato più umbratile. Ancora è la riflessione politica, densa e stratificata (come nel caso di Bestie da soma. Disabilità e liberazione animale, di Sunaura Taylor – edito qualche tempo fa sempre da Edizioni degli animali), sui corpi che non necessariamente debbono essere umani per riconoscersi prossimi.

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