Nella manovra l’avvio della riforma fiscale, ma non c’è accordo
Legge di bilancio Presentata in consiglio dei ministri la Nadef, che sarà approvata domenica. Divisioni sulle aliquote e l’incognita del Recovery Fund
Legge di bilancio Presentata in consiglio dei ministri la Nadef, che sarà approvata domenica. Divisioni sulle aliquote e l’incognita del Recovery Fund
Una quarantina tonda di miliardi: tanto varrà quella che un tempo si chiamava «la manovra» per il 2021. Sempre che non lieviti di qui a domenica. Il consiglio dei ministri si è riunito infatti ieri sera ma la NaDef è stata solo presentata. La si approverà domenica, per poi spedirla alla Camera il 14 ottobre. Quasi metà del totale, 18 miliardi, dovrebbe essere coperto dal Recovery Plan. Gli altri 22 miliardi, pari a 1,3 punti di Pil, invece verranno da ulteriore deficit e poco male se era stato annunciato in pompa magna che non si sarebbe fatto ricorso al deficit. Con i tempi che corrono gli impegni altisonanti valgono quel che valgono, un po’ meno di zero, e comunque dopo 10 giorni non se li ricorda più nessuno.
IL PROBLEMA CASOMAI è un altro. La manovra, nel complesso, si limiterà all’avvio di riforma fiscale, circa 8 miliardi, e al varo dell’assegno unico per i figli, costo 6 miliardi. Il resto se ne andrà per le spese obbligate, per la conferma del taglio del cuneo fiscale, 2 miliardi, per il rifinanziamento delle misure emergenziali e per gli sgravi per chi assume, altri 2 miliardi. Quindi, comunque la si giri, i fondi del Recovery dovrebbero andare o a copertura della spesa corrente e delle misure emergenziali oppure del taglio delle tasse. Cose che, almeno sulla carta, sarebbero escluse dal ventaglio di usi possibili del Next Generation Eu. Poco male. Una soluzione con Bruxelles si troverà. Falchi permettendo. Le cifre sono quelle già note. Pil al -9% quest’anno con rimbalzo stratosferico sino al 6% l’anno prossimo. Rapporto deficit/Pil previsto per quest’anno al 10,8%, al 7% l’anno prossimo, poi 4,7% nel 2022 e infine il rientro nel parametro del 3% nel 2023.
LA COPERTURA per la riforma fiscale sarebbe di 8 miliardi l’anno prossimo e di 13 miliardi nel 2022. Poi però si azzererebbe ed è quindi necessario indicare le coperture future per riforme destinate a pesare con continuità come il taglio delle tasse e l’assegno unico. Il governo ha in mente, oltre al classico «aumento delle entrate ricavate dalla lotta all’evasione», un tetto delle detrazioni per i redditi medio-alti, tra i 55mila e i 75mila euro annui, e soprattutto il taglio drastico dei «sussidi ambientalmente dannosi». Il che è sacrosanto ma presenta alcuni problemi giganteschi, un po’ perché si tratta di sfidare lobby potenti e un po’, anzi molto, anche perché tagliare senza progressività e drasticamente quei sussidi avrebbe un impatto nefasto su economia e occupazione.
PARLARE DI RIFORMA FISCALE, peraltro, è cosa diversa dal realizzarla. Finché ci si limita al titolo, come sarà nella legge delega da approvarsi quest’anno, tutti d’accordo. I guai cominceranno quando si tratterà di scegliere come operare il taglio, con i decreti attuativi del 2021. Il Pd ha in mente un modello piuttosto cervellotico, parzialmente plasmato sul sistema tedesco. Un algoritmo dovrebbe indicare un’aliquota personalizzata, tenendo conto di vari elementi, fino a un tetto che potrebbe andare da un minimo di 40mila euro l’anno a un massimo di 55mila. Poi si procederebbe come si fa oggi, con gli scaglioni. I renziani non sono d’accordo: preferiscono un sistema più semplice, tre aliquote, una no tax area per i redditi minimi, cancellazione secca di tutte le tax expenditures. Per i 5 Stelle l’essenziale è il taglio e anche per loro la riduzione da 5 a 3 aliquote sarebbe la strada più semplice. In nessuno di questi progetti, peraltro, il taglio fiscale si accompagna a misure di rilancio produttivo, in particolare sul fronte della green economy, che dovrebbe essere la prima linea dell’azione del governo.
Messe così le cose, però, diventerebbe impossibile ricorrere ai fondi della Ue disposta a chiudere un occhio sul divieto di finanziare tagli delle tasse con il Recovery Fund solo a patto che ciò serva a un rilancio della produttività.
NONOSTANTE UNA DECINA di impegni in questo senso assunti dal premier Conte nel corso di mesi, la Nadef dovrebbe glissare senza eleganza sul Mes. Se ne riparla quando sarà pronto il Piano Sanità, nel 2021, e fino a quel momento bisognerà arrangiarsi con quello che c’è. La presidente dei senatori azzurri Annamaria Bernini protesta rumorosamente. La nota dolente è che l’ennesimo rinvio piace pochissimo anche al Pd.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento