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Nella Hollywood degli scioperi manca ancora il lieto fine

Protesta a Hollywood (foto Ap)Uno scatto di un picchetto dei sindacati a Hollywood – foto Ap

Cinema Gli studios hanno pubblicato la proposta respinta dagli sceneggiatori, una mossa che allontana le parti. Il nodo dei compensi legati alle visualizzazioni, le maestranze in attesa

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 agosto 2023
Luca CeladaLOS ANGELES

La scorsa settimana – la diciassettesima dello sciopero degli sceneggiatori – è iniziata con la notizia positiva di nuovi incontri fra le parti. Ma le riunioni fra Writers Guild of America (Wga) e l’associazione dei produttori cinetelevisivi (Amptp) per riattivare le prospettive di un accordo, sembrano aver prodotto l’effetto opposto. Dopo che la union degli scrittori aveva rimandato al mittente la nuova proposta di contratto, la situazione è peggiorata dopo la decisione di rendere pubblica l’offerta.

GLI SCENEGGIATORI hanno accusato gli studios di aver violato l’accordo sulle trattative riservate con l’esplicito intento di mettere pressione sul sindacato. I negoziati sono stati interrotti e non vi sono ad oggi in programma nuovi incontri.
La controproposta degli studios conteneva invero diverse concessioni ma non quelle ad alcune rivendicazioni chiave. Nella fattispecie vi è stata apertura sulla richiesta di condividere i dati audience di film e programmi in streaming ma non di indicizzare i compensi al successo di pubblico. «Come venire invitati alla festa dei bambini ricchi, ma senza poter assaggiare la torta», è stato il commento laconico di un portavoce Wga, che ha ribadito l’intenzione di non firmare accordi parziali, ma unicamente un contratto che prenda in considerazione le radicali trasformazioni che interessano ogni aspetto dell’industria, compresa l’applicazione dell’intelligenza artificiale. Quest’ultimo è un punto chiave anche nella vertenza degli oltre 160.000 attori membri del Sag (Screen Actors Guild) in sciopero dal 14 luglio. Ma i produttori vorrebbero indicativamente negoziare separatamente i contratti con le due categorie.

Con la pubblicazione della contro offerta i produttori hanno voluto rivolgersi agli scioperanti che da quasi quattro mesi ormai marciano davanti ai cancelli degli studios, sperando di generare sostegno per un accordo rapido fra i membri in difficoltà economiche sempre maggiori. I rappresentanti dei sindacati hanno definito la mossa «una trappola per farci capitolare». In città intanto monta il malcontento anche fra le maestranze che in questa faccenda sono impotenti spettatori, ma anche loro sono senza lavoro da oltre cento giorni. In California dove nel settore lavorano circa 700.000 persone il blocco delle produzione avrebbe già provocato perdite economiche per oltre 3 miliardi di dollari con ripercussioni anche più gravi se allargate all’indotto e all’economia generale (la produzione di un film può iniettare fino a 250.000 di dollari in un’economia locale).

PER ORA SEMBRA tenere, tuttavia, la solidarietà fra i lavoratori che continuano ad evidenziare sia gli utili degli studios che i compensi stratosferici dei nuovi mogul che li dirigono. Secondo un’analisi del «Los Angeles Times», negli ultimi cinque anni Rupert Murdoch, capo della Fox, ha guadagnato 174 milioni di dollari, Ted Sarandos (Netflix) 192 milioni, Bob Iger (Disney) 195 milioni e David Zaslav (Warner Bros/Discovery) 498 milioni di dollari.

Per gli attori è arrivato il permesso di girare film che rispettino le richieste del sindacato e di promuoverli con il cast nei festival d’autunno, compresa Venezia
Quest’ultimo è amministratore del conglomerato che controlla editoria («Time»), Tv via cavo (Cnn), piattaforme streaming (Max – ex Hbo) e cinema con la Warner Bros, lo studio che quest’anno celebra 100 anni di attività. Per l’occasione è stata prodotta un docu-serie che celebra il secolo di attività a partire dai primi «kinetoscopi» in cui investirono quattro fratelli ebrei, commercianti di vestiti a Pittsburgh, il trasloco a Burbank, i teatri di posa e gli anni d’oro dello studio system fra musical, film noir e western che fecero la storia. La serie documenta poi la crisi di metà secolo scorso (con il collaborazionismo di Jack Warner durante la blacklist maccartista) e il ruolo sempre più egemone degli azionisti finanziari che portò a successive consolidazioni industriali.

QUELLA della Wb è una storia che a grandi linee accomuna tutti gli studios, che dopo un secolo di cinema, si trovano oggi a navigare in un turbocapitalismo improntato al digitale. È una fase ibrida che secondo alcuni non favorirebbe un accordo nelle attuali vertenze. Per la prima volta nella storia delle vertenze sindacali di Hollywood, infatti, la Amptp non è composta unicamente da studios cinematografici ma comprende aziende con radici a Silicon Valley e modelli industriali molto diversi da quelli dei legacy studios. Mentre questi ultimi (Sony, Paramount, Disney, Universal e Wb) dipendono ancora dalla produzione e distribuzione di film e Tv, le piattaforme hanno come priorità l’acquisizione e la ritenzione di abbondati.
Se all’inizio della scorsa settimana insomma c’era chi azzardava ottimismo per un accordo di fine settembre – oggi come oggi i pronostici parlano piuttosto di una paralisi che potrebbe durare fino a ottobre o più in là ancora. Intanto uno spiraglio proviene dalle deroghe concesse dai sindacati a produzioni indipendenti che abbiano firmato accordi già comprensivi delle loro rivendicazioni. Da Sag in particolare è arrivato il permesso di girare film adempienti – e di promuoverli con tutto il cast nei festival d’autunno, compresa la Mostra del Cinema, per cui gli attori di film come Dog Man di Luc Besson e Priscilla di Sofia Coppola, dovrebbero poter sfilare sul tappeto rosso del Lido.

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