«Non serviva a nessuno questo supermercato». Di fronte alla devastazione del grande cantiere e alla strage operaia, le voci urlate dei residenti di una delle zone più congestionate e densamente urbanizzate della città, a cavallo tra Novoli e Rifredi, testimoniano la ventennale opposizione popolare ai megaprogetti urbanistici che si sono succeduti per “sostituire” l’antico Panificio militare di Firenze. Uno dei più grandi del paese, costruito in via Mariti negli anni 20 del secolo scorso dal regime fascista, poi utilizzato nel dopoguerra come deposito e infine dismesso negli anni ’70. Un immobile di oltre 10mila metri quadrati di volumi, un intero isolato, al cui posto i residenti della zona avrebbero voluto la realizzazione di un’area verde, per dare un minimo di respiro al quartiere.

Invece alla fine del 2004 sulla ex caserma Guidobono, di proprietà del Demanio, l’amministrazione comunale presenta un progetto di “recupero” da parte di privati che prevede ben 75mila cubi di nuove costruzioni con un palazzi alti sei piani e una torre alta 15 piani. In altre parole circa trecento appartamenti, fondi commerciali, auditorium e uffici destinati alla nuova sede del Quartiere 5, oltre a due piani sotterranei di parcheggi a pagamento.

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I cittadini non ci stanno e subito nasce il Comitato Ex Panificio Militare, la cui opposizione articolata, intelligente e ben documentata ai progetti invasivi sull’area, con tutta la cronistoria rintracciabile sul loro sito (www.coexpami.it), testimonia una capacità non comune di contrapporsi a quella che viene definita senza mezzi termini una speculazione inaccettabile. Così il Comitato chiede all’amministrazione comunale di ridiscutere i principi e le finalità del “progetto di recupero” dell’area, e di fermare l’iter dei lavori.

Sono necessari però anche i ricorsi al Tar, oltre alle vicissitudini della Rubens Immobiliare riconducibile a Riccardo Fusi, proprietario della Baldassini Tognozzi e assai vicino all’allora potentissimo Denis Verdini, per portare nel 2010 alla cancellazione del megaprogetto. «La sconfitta legale della proprietà – commenta il Comitato – che voleva realizzare residenze su un’area ancora a destinazione pubblica, ha lasciato, come si usa dire, il cerino in mano all’amministrazione comunale, cui spetta adesso ogni decisione sul futuro dell’area. Ci domandiamo: vorrà dare una svolta rispetto al passato e privilegiare l’interesse comune invece del business dei privati?».

Niente da fare, alla fine del 2013 il gruppo Esselunga acquista l’area con l’obiettivo di costruire un grande centro commerciale. Il Comitato torna subito a farsi sentire, e questa volta anche l’amministrazione comunale decide di procedere con i piedi di piombo e ascoltare con maggiore attenzione le richieste dei cittadini.

Dopo sei anni di discussioni, il Comune e il gruppo Esselunga trovano un accordo, con una riduzione della superficie da ricostruire che passa da 10mila a 8mila metri quadri, in vista di una struttura commerciale disposta su due livelli con una superficie di vendita di 2.500 mq. Al tempo stesso c’è l’impegno della famiglia Caprotti a spendere 2,7 milioni per realizzare nell’area un grande giardino pubblico di 5mila metri quadri, viali pedonali e una porzione ad uso pubblico del parcheggio interrato da 500 posti auto.

La “riduzione del danno” viene accettata, sia pure a denti stretti, dal Comitato. Che comunque non smobilita e l’anno scorso torna a protestare «per difendere il poco, prezioso verde della nostra zona», quando Esselunga annuncia il taglio di tutti gli alberi (21 lecci e 13 pini) di via Mariti. Così alla fine si abbattono solo gli alberi coinvolti direttamente nella realizzazione di una rotonda stradale.