Scrivere di Aldo Garzia è per me molto faticoso. Per quasi 50 anni abbiamo condiviso tutte le scelte politiche più importanti, ma anche molta vita privata, il mondo dei sentimenti e delle emozioni, le cose belle e brutte d’ogni giorno, la passione dei lunghi viaggi e la pigrizia delle infinite chiacchierate. La nostra è stata un’amicizia vera. Poi, da quando quel giorno disgraziato di otto anni fa lo raccolsi nella sua casa dopo un primo ictus, la relazione si era fatta ancora più intensa nelle conversazioni politiche e più profonda nelle cose personali.

La perdita di Aldo lascia un grande vuoto in una vasta e ricca comunità di donne e uomini, di compagne e compagni. Perché Aldo era la tessera più preziosa di un mosaico complesso, dove passione, ragione, cultura, arte, politica, pubblico e privato formavano un solo gomitolo. In questo senso Aldo è stato unico e insostituibile. Non che fosse un santo, la polemica nei ragionamenti, l’asprezza delle parole, i toni alti nelle discussioni non erano una rarità, pure raramente lasciavano traccia e l’affetto generale che lo ha circondato fino alla fine ne è una sicura testimonianza.

Aldo era di una onestà e coerenza intellettuale quasi maniacali, non ha mai scritto né detto qualcosa che potesse contraddire le sue convinzioni profonde. Tanto era aperto alle ragioni altrui, tanto curioso nel ricercare nuovi percorsi della politica, tanto creativo da tenere insieme la rivoluzione cubana e la socialdemocrazia nordica, quanto era convinto che il grano si dovesse separare dal loglio e non cedere a un relativismo indifferente dei principi e dei comportamenti.

Aldo era persona inquieta. Un’inquietudine sana, che lo ha portato a cercare nel mondo le ragioni delle sue idee e che lo ha spinto a cercare oltre i confini della politica nel cinema, nella poesia, nella musica, nelle cose belle e gentili della vita il senso stesso della politica.

Non è possibile, né giusto in queste poche righe riprendere la ricca materia intellettuale e politica presente negli scritti, nei discorsi e nei ragionamenti di Aldo, presto verrà quel momento. E allora scopriremo quanto piena di significati fosse la sua battuta, un po’ civettuola, quando ripeteva di essere insieme “magriano e ingraiano”. Si potrebbe intenderla una provocazione, come una terza via e quasi una via di fuga per evitare la scelta. In realtà quell’affermazione era per lui qualcosa di più e di diverso anche da un improvvisato sincretismo fra le due anime più importanti della sinistra comunista italiana.

Aldo si riteneva un “discepolo fedele” di Lucio Magri; negli ultimi due anni di vita di Lucio, dal 2009 al 2011, quasi ogni giorno tutti e tre insieme a piazza del Grillo abbiamo riletto e ricostruito la nostra storia comune, nella convinzione che questo lavoro sarebbe stato utile per ragionare sul futuro. L’ adesione di Aldo all’itinerario politico e teorico di Magri era così profonda che giunse, lui, a rimproverargli qualche contraddizione e incoerenza degli ultimi anni. Era per Magri, ma ciò non gli impediva di sottolineare la fertilità della ricerca, della riflessione, della sensibilità culturale e umana di Pietro Ingrao.

Aldo esprimeva uno straordinario amore per la vita, con la sua infaticabile vita sociale, la ricchezza delle sue relazioni sentimentali, la vitalità della sua ironia, l’incredibile capacità di resistere alla malattia. Una forza che sorprese medici, infermieri, amici, le sue sorelle Dora, Giovanna e Maurizia, che lo sostennero in mesi lunghi e difficili. In quella forza vi era uno straordinario desiderio di futuro, la speranza che saremmo tornati a viaggiare nei luoghi cari; il progetto di costruire un centro di riflessione critica sull’esperienza della sinistra e della nuova sinistra italiana, su Magri e sul gruppo straordinario che fondò il Manifesto nel quale entrò quando ancora era ragazzo. Un luogo di elaborazione politica e di produzione di idee nel quale i giovani come Simone e Mattia avrebbero incontrato la generosa vecchia guardia degli ex. Non sarà facile tirare quel filo che lui sapeva tessere con tanta intelligenza e tenacia.

Mi piacerebbe che Aldo, nel pellegrinaggio che ci tocca una volta lasciata questa nostra terra piccola e malata, incontrasse il regista che più ha amato e inseguito invano per anni. Più di una volta mi ha trascinato nell’isola svedese di Fårö sulle tracce di Ingmar Bergman, e ha scritto un bel libro su quella splendida isola, in cui con Fulvia aveva preso la consuetudine di lunghi soggiorni estivi. Il caso ha voluto che mi trovassi tra faraglioni scultorei e un mare di rose rosse nel piccolo cimitero di Fårö ai funerali e alla sepoltura di Bergman, lui per una qualche ragione era bloccato a Roma. Lo consolò il fatto che mio figlio Luigi, allora bambino, firmò sul libro dei presenti: Aldo Garzia.