Lisa Ferlazzo Natoli presenta in anteprima all’Angelo Mai (ancora oggi e domani) lo spettacolo/percorso che debutterà ufficialmente all’inizio del mese prossimo a Primavera dei Teatri di Castrovillari. Città sola è il titolo dell’opera tratta da un testo di Olivia Laing, giornalista e scrittrice inglese (pubblicata in Italia dal Saggiatore), un viaggio di scoperta ed esplorazione di New York attraverso biografie (e visioni e suoni e deliri) di sette artisti che in questi anni vi hanno operato, vissuto, lasciato tracce. Un percorso indagato in profondità, quasi in maniera chirurgica, nel cuore intellettuale e insieme visionario della Grande Mela.

L’attrice, sola sul palco, si aggira in un percorso che è teoria, visione e interpretazioneDA QUEL TESTO, ridotto per la scena da Fabrizio Sinisi, Lisa Natoli con Alessandro Ferroni mettono in scena il percorso in quelle sette visioni della città. Una scena essenziale, solo due lavagne luminose pendenti dal soffitto, in cui la Natoli, sola, si aggira in un percorso che è teoria, visione, interpretazione di una intera epoca. Si comincia dai personaggi delle tele struggenti dipinte da Edward Hopper, da quelle solitudini collettive ai banconi del bar, che non lasciano altra scelta che essere o meno accettate, per passare a tecnologie del secolo scorso nelle quali Andy Wahrol ha visto e trasmesso il mare di solitudine della città. E poi David Wojnarowicz che negli anni 80 filtra i moli di Chelsea attraverso visioni di Rimbaud, le «invenzioni di mondi» di Henry Darger, la voce «disumana» di Klaus Nomi mentre l’Aids avanza e fa strage, le visioni cantate di Billie Holiday, e infine John Harris che prima del passaggio di millennio prevede il concretizzarsi nuove possibilità attraverso internet per muoversi tra gli agguati della solitudine.
Un percorso cospicuo, di alterna facilità di comunicazione, che Lisa Natoli attraversa con serena disposizione al coraggio e alla condivisione. L’attrice/cicerone di questo percorso è ogni spettatore in platea, che può riconoscersi o prediligere una o l’altra di queste visioni, che per la scrittura di Olivia Laing vanno a costituire un puzzle unitario, dove ogni lettore/spettatore può a sua volta scegliere punti e percorsi più o meno forti o a sé congeniali. Oppure, semplicemente, l’ottica e il suono di ognuno di quegli squarci, di quelle visioni che in realtà sono state anche «vite».

NEI SUOI cento minuti, l’esplorazione che Lisa Natoli compie in solitaria, accompagnata solo da qualche quaderno o tablet, richiama, in modo opposto ma quasi «simmetrico», lo spettacolo e le vicende che solo poche settimane fa la regista (sempre in tandem con Alesandro Ferroni) aveva presentato al Piccolo Teatro di Milano, nella sede storica del Grassi, Anatomia di un suicidio. Il testo di Alice Birch era l’occasione per vedere in parallelo tre vicende di vita di tre generazioni (una donna, sua madre e sua figlia) colte, anche in contemporanea, in gesti, relazioni e comportamenti cui ognuna dava esiti diversi ma appunto «paralleli». Tanto affollata era quella scena di umanità diverse, quanto qui invece la parola si fa indagine solitaria, a sé stante. È molto interessante che una stessa artista si misuri con metodologie così diverse, se non opposte, per indagare, attraverso il teatro, ciò che invece è reale.