Quando la incontriamo la prima volta Marjane ha otto anni, è figlia amatissima di una famiglia iraniana benestante laica e politicamente molto attiva nella critica contro lo Scià di Persia, lo zio comunista è stato in prigione e lei è affascinata dalle sue storie. Poi, un giorno, comincia la Rivoluzione iraniana che all’inizio i genitori, la nonna voce di caustica saggezza guardano con speranza accorgendosi presto però che lo Stato islamico li avrebbe rinchiusi in una gabbia soffocante, loro che amavano vivere con piacere e divertimento, e soprattutto ogni donna in Iran. È così che la ragazzina ormai cresciuta viene mandata a studiare in Austria dove però le esperienza non sono molto positive, al punto da spingerla disperata a tornare indietro; ma in Iran le cose sono ancora peggiorate, la vita è sotto controllo, le ragazze velate e perseguitate, di fronte alla rassegnazione che pervade i più e la nonna sembra l’unica a resistere. E Marjane? Persepolis quando arrivò sugli schermi, nel 2007 fu subito un successo, venne presentato al Festival di Cannes – e accolto con una standing ovation – fra le molte minacciose proteste dell’Iran che accusava il film di «dare un’immagine irreale della società iraniana a beneficio delle potenze straniere».

A FIRMARLO era Marjane Satrapi, alla cui autobiografia si ispira, insieme a Vincent Paronnaud, i tratti di quell’animazione che aveva come detto più volte dall’autrice fra i riferimenti ha l’espressionismo e il neorealismo italiano per le atmosfere da “cinema post-bellico” partivano dalle sue graphic novel ripensate su grande schermo nelle magnifiche animazioni in bianco e nero. Persepolis torna in sala grazie alla Cineteca di Bologna, nel restauro in 4k curato da Satrapi. Presentandolo l’anno scorso, proprio a Bologna, l’artista che vive a Parigi, aveva detto: «La ragazzina che vedete nel film e che crescendo diventerà la giovane donna che ero io quando ho lasciato il mio Paese, all’età di 23 anni, oggi non avrebbe mai lasciato l’Iran ma sarebbe scesa in strada, avrebbe combattuto, forse avrebbe perso un occhio. All’epoca, noi eravamo così terrorizzati, che non ci azzardavamo a parlare. Ma questa nuova generazione non è spaventata, quel muro di paura è stato abbattuto, ormai è distrutto. Adesso la paura è dall’altra parte, sono loro ad avere paura di noi e fanno bene a essere spaventati. Ma soprattutto, devono temere questa nuova generazione».Un romanzo di formazione che per la protagonista autrice significa una frattura profonda

A DISTANZA di tempo, questa narrazione che attraversa appunto vent’anni di storia iraniana, dal 1978 agli anni Duemila, quando l’autrice lascia il Paese, intrecciando alla dimensione collettiva la vita personale della protagonista, continua a essere di bruciante attualità, a cominciare dal modo in cui illumina le forme repressive messe in atto dal regime iraniano contro ogni espressione di dissenso. È quello di Satrapi un punto di vista rivoluzionario femminile, la bimba che voleva essere Bruce Lee, o un profeta, poi ragazza che sperimenta diverse fasi nel suo rapporto con il mondo, in Iran e fuori, che arriva a Vienna adolescente vivendo uno choc culturale, che passa dal punk ai disastri amorosi, che quando è di nuovo in Iran studia arte ma si annoia perché i corpi da disegnare sono censurati, che deve indossare il velo come tutte, che farà un matrimonio sbagliato – «Ma il primo è la prova del secondo» la consola la solita fantastica nonna fumando – ci dice moltissimo su cosa significa crescere in un luogo governato dal controllo e dalla censura, e come questo si amplifica per le donne. Ma anche sul sentimento dell’esilio, in un romanzo di formazione che per la protagonista/autrice significa una frattura profonda, un dolore ma anche una liberazione seppure altrove di sé, dei suoi desideri, del proprio talento nel mondo.

SATRAPI che nel frattempo ha curato il progetto corale Donna, vita, libertà (Rizzoli Lizard), una raccolta di quasi 300 pagine, di cui 192 tavole disegnate, su cui hanno lavorato quattro fumettisti iraniani e 13 provenienti dall’Europa e dall’America, insieme a un politologo, un giornalista e uno storico, tutti esperti di Iran o di origini iraniane, pubblicato a un anno dalla morte di Mahsa Amini, usa in Persepolis la leggerezza dell’ironia, e un umorismo che rende il movimento della sua protagonista ancora più determinato nel suo smascheramento dei paradossi di quella società ira di pasradan e denunce ma anche di ciò quelli che troverà sul suo cammino nell’occidente. Con una forma che afferma un nuovo genere di animazione, la cui singolarità rimane sorprendente oggi, mescola ricordi, aneddoti, emozioni che la distanza narrativa tiene al riparo dal sentimentalismo. E rende Persepolis un film speciale, che oltre al tempo sa parlare a tutte e tutti noi.