Internazionale

Naufragio del 17 agosto: «I miliziani ci hanno sparato»

Naufragio del 17 agosto: «I miliziani ci hanno sparato»

La testimonianza dei sopravvissuti ad Alarm Phone. Si teme per un altro gommone

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 21 agosto 2020

«Eravamo alla deriva quando siamo stati raggiunti da una motovedetta libica. I miliziani ci hanno detto che ci avrebbero salvati e riportati in Libia se gli davano i cellulari e i soldi, ma non avevamo soldi. E’ cominciata una discussione e alla fine loro hanno sparato sul gommone, hanno colpito il motore e alcune taniche di benzina. Ci siamo gettati in acqua, ma molti di noi sono morti». E’ il racconto che alcuni dei sopravvissuti dal naufragio del 17 agosto, ma del quale si è avuta notizia solo mercoledì, hanno fatto ai volontari di Alarm Phone, la piattaforma che assiste i migranti in difficoltà nel Mediterraneo. «Dopo qualche ora – prosegue la testimonianza – è arrivato un peschereccio che ci ha salvati e portati a riva».

Secondo quanto ricostruito da Alarm Phone, il gommone con a bordo 81 persone (e non 65 come si pensava inizialmente) era partito tra il 14 e il 15 agosto dalla Libia ma quasi subito avrebbe cominciato ad avere dei problemi. Nel naufragio sono morte 45 persone tra cui anche cinque bambini, mentre i 36 sopravvissuti sono invece già stati trasferiti in un centro di detenzione libico, uno di quelli gestiti dal governo di Tripoli. Si tratta di cittadini provenienti da Senegal, Mali, Ciad e Ghana.

Ma quella del 17 agosto potrebbe non essere l’unica tragedia di questi giorni. Non si hanno infatti più notizie anche di un altro gommone con 100 migranti che sarebbe partito tra domenica e lunedì scorsi da una località a nord di Zuara. «Ci chiamano persone della comunità eritrea raccontandoci che almeno dieci loro parenti si trovavano a bordo», spiegano ad Alarm Phone. Il gommone sarebbe affondato dopo lo scoppio di uno dei tubolari. Le notizie sono ancora incerte e tutte da verificare, ma sembra che anche in questo caso un peschereccio sia intervenuto in soccorso dei sopravvissuti.

«Temiamo che senza un incremento immediato delle capacità di ricerca e soccorso ci sia il rischio che si verifichino disastri analoghi a quelli in cui si è registrato un elevato numero di morti nel Mediterraneo centrale prima del lancio dell’operazione Mare nostrum». A dirlo, ricordando la missione della Marina militare italiana che tra il 2013 e il 2014 salvò 160 mila migranti, sono l’Oim e l’Unhcr le agenzie dell’Onu che si occupano di migranti e rifugiati. Quello del 17 agosto è il più grave naufragio avvenuto quest’anno e fa salire il numero delle vittime nel Mediterraneo centrale – che si conferma così come la rotta più pericolosa al mondo – ad almeno 302 nei primi otto mesi del 2020.

Una situazione resa più drammatica dall’assenza delle navi delle ong, quattro delle quali sono ancora sotto sequestro per presunte irregolarità. Oggi in zona dovrebbe arrivare la Sea Watch 4, che la ong tedesca gestisce insieme a Medici senza frontiere.

Sono decine in queste ore le imbarcazioni che, partite dalla Libia o dalla Tunisia, stanno cercando di raggiungere l’Italia. Anche ieri per Lampedusa è stata una giornata di sbarchi con l’arrivo nell’isola di un’imbarcazione con 87 migranti e di altre due barchini con 9 e 16 tunisini. Numeri che hanno ulteriormente aggravato la situazione di sovraffollamento all’interno dell’hotspot di contrada Imbriacola dove ieri erano presenti 1.137 persone a fronte di una capienza massima di 192.

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