Apparsa il giorno di Natale del 1900 nella Neue Freie Presse e poi in volume presso l’editore Fischer di Berlino, la novella intitolata Il sottotenente Gustl costò a Arthur Schnitzler il rango di ufficiale della riserva che rivestiva in quanto medico. Un «consiglio d’onore» dell’esercito imperial-regio lo condannò per vilipendio e lo degradò al ruolo di semplice soldato, suscitando uno scandalo che contribuì ad accrescere non poco la sua fama di scrittore.

La novella è passata alla storia per essere stata la prima opera letteraria di lingua tedesca – e una delle prime in assoluto – ad adottare la tecnica del monologo interiore, che Schnitzler apprese dalla lettura di Les lauriers sont coupés di Édouard Dujardin; ma – come sottolinea Elisabeth Galvan nella sua bellissima introduzione alla riedizione Bur (nella nuova traduzione di Renata Colorni, con testo tedesco a fronte, pp. 160, € 9,50, e le illustrazioni di Moritz Coschell proposte per la prima volta in Italia) a ispirare la scelta formale dell’autore viennese fu anche la lettura dell’Interpretazione dei sogni di Freud, e la talking cure che il padre della psiconalisi andava elaborando in quegli anni: un metodo terapeutico rivoluzionario, che si affidava alle  parole liberate da ogni costrizione discorsiva e associate liberamente in modo da favorire la risalita all’attualità di esperienze traumatiche rimosse.

Mettendo il lettore nella condizione dell’analista che ascolta il racconto di un paziente in cui emergono tracce di conflitti inconsci, non soltanto individuali, Schnitzler descrive i pensieri del sottotenente Gustl evocando contraddizioni e sconvolgimenti che segnano uno dei luoghi simbolo della cultura moderna occidentale: la Vienna a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, straordinario laboratorio delle crisi attraverso cui si è manifestata la modernità occidentale.

La vicenda si svolge nell’arco di poche ore dell’aprile 1900. Immediatamente catapultato nei pensieri di un giovane ufficiale dell’esercito austro-ungarico, il lettore assiste all’alterco che egli, appena uscito da un concerto, subisce dal fornaio, ritenendosene gravemente offeso; ma la troppo modesta estrazione sociale dell’altro gli impedisce la «legittima difesa del proprio onore» e  di conseguenza Gust non vede altra via d’uscita se non togliersi la vita. Si concede, tuttavia, ancora una notte, in cui vagabonda per le strade di Vienna lasciando andare i suoi pensieri, la cui restituzione mimetica può essere interpretata come una espressione radicale della poetica naturalistica.

Se si prende sul serio il postulato di una riproduzione quanto più possibile esatta del reale, allora si deve essere impressionisti, argomentava Hermann Bahr, portavoce del modernismo viennese di cui Schnitzler fu grande protagonista. E poiché la  realtà è percepibile – e rappresentabile – soltanto attraverso il medium della coscienza soggettiva, le libere associazioni del sottotenente Gustl non solo registrano la crisi dell’Io spesso tematizzata dalla cultura viennese fin de sieclé, ma mostrano anche la loro derivazione da una forma mentis patriarcale, ormai incapace di esorcizzare l’insicurezza emotiva e il senso di inferiorità da cui è assediata.

Prima di tornare nella sua cameretta per farla finita con la vita, Gustl decide di far colazione nel suo solito caffè, dove apprende della morte improvvisa del fornaio: il caso fortunato lo restituisce alla sua esistenza di sempre: «Se nessuno sa, allora non è successo nulla», pensa Gustl, compiaciuto, mostrando come, anche se solo con sé stesso,  egli dipenda in tutto e per tutto dallo sguardo e dal giudizio degli altri.

Il ruolo di spettatore e giudice omniscente per tanto tempo riservato a Dio, aveva scritto Rousseau, nella civiltà moderna e secolarizzata viene assunto dalla società: ognuno diventa spettatore e giudice dei suoi simili, ma anche di sé stesso, ed è  perciò esposto  a passioni «innaturali» come l’invidia, l’ambizione, il risentimento. Schiavo dell’immagine di sé che intende trasmettere agli altri, l’individuo moderno – e Gustl con lui – vive come un attacco alla propria esistenza, che fa coincidere con l’«onore», ciò che minaccia l’integrità di quella immagine. Al tempo di Schnitzler il posto dell’onore era forse retrocesso, ma non il narcisismo sociale che ne era il fondamento.