È nato per sedare le rivolte in carcere, il Gruppo di intervento operativo (Gio), creato come reparto specializzato della Polizia penitenziaria. Lo ha istituito il ministro di Giustizia Carlo Nordio con un decreto ministeriale del 14 maggio, anche se la pianificazione risale ai tempi in cui Marta Cartabia sedeva in via Arenula. Ora però, con il nuovo pacchetto sicurezza (l’approdo in Aula alla Camera dopo le elezioni europee) che introduce la fattispecie di reato di rivolta carceraria, occorre dotare il Corpo penitenziario di un “braccio armato” specializzato.

Il Gio – sullo stesso modello del Gom, il Gruppo operativo mobile specializzato nella custodia dei reclusi in regime speciale – è articolato in un ufficio centrale e uffici territoriali (Gruppi di intervento regionali, Gir) alle dirette dipendenze del Dap. E tra i compiti ha quello di intervenire «in presenza di emergenze non altrimenti fronteggiabili che possano pregiudicare l’ordine, la sicurezza e la disciplina in ambito territoriale, oltre che per particolari eventi critici sotto il profilo della sicurezza e per specifiche condizioni di medesimo rischio in ambito penitenziario». Può supportare anche il Gom per interventi nelle sezioni del 41bis e operare anche negli Istituti penali minorili quando si presentino situazioni emergenziali «che arrecano pregiudizio all’ordine, alla sicurezza e alla disciplina».

Pur apprezzando l’intenzione di Nordio, la Uilpa Polizia Penitenziaria, che come altri sindacati del settore chiedeva da tempo «un’organizzazione idonea a fronteggiare situazioni di emergenza e, prim’ancora, di rischio e pericolo», ha però protestato perché «non fa i conti con l’inadeguatezza degli organici e – afferma il segretario generale Gennarino De Fazio -, puntando sulla repressione a discapito della prevenzione, rischia di rivelarsi un boomerang per la tenuta del sistema». Prima, insiste De Fazio, bisogna poter «garantire la sicurezza ordinaria», messa a rischio da «organici già mancanti di 18mila unità».

Ma la domanda inevitabile è soprattutto una: cosa rende così necessario e urgente l’istituzione di un reparto tipo “teste di cuoio” specializzato nella repressione di un reato appena inventato? Le rivolte sono davvero fortemente in aumento? E non basterebbe portare almeno a regime l’organico di polizia penitenziaria? Ci aiutano, nella risposta, i dati dello stesso Dap raccolti dall’ufficio del Garante nazionale dei detenuti. Se confrontiamo gli eventi dei primi tre mesi dell’anno in corso con quelli del 2023 vediamo che le Aggressioni fisiche al personale di polizia penitenziaria denunciate sono aumentate di 109 unità, le colluttazioni tra detenuti di 107, gli Atti turbativi dell’ordine e della sicurezza (una definizione talmente generica da inglobare pure la battitura dei ferri) messi in atto come protesta individuale di 119 casi, mentre quelli riferibili a manifestazioni di protesta collettive sono aumentate di 10 (da 20 dello scorso anno a 30 di quest’anno). Stranamente però il numero dei provvedimenti disciplinari è in drastico calo: 210 in meno.