Una figura maschile alta, avvolta in un impermeabile «sferzato da un vento inclemente», compare nel quartiere napoletano di Montesanto alle prime luci di un giorno qualunque. È inverno; occhi ancora assonnati fissano lo sconosciuto apparso all’improvviso come dal nulla, come se di punto in bianco si fosse materializzato nella nebbia mattutina. Sguardi interrogativi si posano su di lui, ma nessuno fiata; «lo stupore consigliava prudenza».

Così inizia La fabbrica fantastica, di Roberto Marrone (Libreria Dante & Descartes, pp. 297, euro 15), già autore di Parole strappate alla notte e curatore, insieme a Maria Rosaria Rivieccio, di Diario di una coscienza, di Nunzio Giuliano. Il romanzo è ambientato in una Napoli palpitante, vissuta seguendo i passi e le giornate di una serie di personaggi che contribuiscono ad animare il racconto: Giovanna, la venditrice di banane, Loredana e Lucilla, giovani laureate precarie, come tanti altri, il corniciaio Gennaro, e ancora, Antonio, chirurgo del Policlinico.

IL PRIMO ESORDISCE nella storia con un’inattesa ansia legata al pensiero della fine che cerca di allontanare da sé precipitandosi fuori di casa per andare al suo laboratorio di Montesanto; il secondo, reduce da un divorzio vissuto in modo doloroso, cerca conforto nella sua attività di medico che svolge con una dedizione a maggior ragione motivata dal suo vissuto personale. Attorno a loro e dentro di loro una città che si confronta ogni giorno con i suoi enigmi mai risolti, che guarda se stessa attraverso gli occhi dei personaggi prima menzionati e di chi, come loro, ci vive e respira con essa.

Montesanto, la Cumana, Pignasecca: punti di un circuito fatto di domande senza risposte che attraversa il cuore di Napoli e raggiunge la periferia orientale; quella di Ponticelli, di Barra e di San Giovanni a Teduccio, una volta comuni a sé, poi quartieri di questa metropoli stratificata nel tempo e nello spazio. Caratterizzati, in passato, dalla proliferazione di associazioni di mutuo soccorso e dal maturare di una coscienza operaia conquistata tenacemente, oggi luoghi di sofferenza sociale. Ecco che nel racconto si fa strada una banda rionale di «guaglioni» il cui capo viene ucciso: i suoi sono troppo liberi, non appartengono e non vogliono ubbidire a nessuna organizzazione. Per questo vengono avversati dal sistema camorristico che si sente minacciato da quelle «cape pazze».

«LA FABBRICA FANTASTICA» è un incontro di storie che vengono narrate secondo una scansione temporale che non si svolge in un’unica direzione. È un tempo sospeso, quello del libro, che si misura in sguardi, respiri e silenzi eloquenti. Parlare e scrivere di Napoli sono esercizi di estrema difficoltà; disquisirne significa percorrere una strada tortuosa dove sono sempre in agguato la retorica e il luogo comune, entrambi alleati della rinuncia alla complessità.

Il viaggio compiuto dall’autore, che non si sottrae a essa, è una ricerca di frammenti di un quotidiano scandagliato nei suoi anfratti più profondi, un andare appresso ad aliti di vento che agitano fantasmi e scoprono i volti dei vari protagonisti. Le loro storie incontrano il cammino dell’uomo avvolto in un lungo impermeabile. La sua figura alta si aggira per la città; forse è un clochard, forse un forestiero o un migrante, di quelli che chiamano in causa la nostra coscienza. Cammina seguito da sguardi inquieti che si interrogano sulla sua identità e presenza. Il suo vagare sembra non avere fine, ma forse ha una meta da raggiungere e magari ci invita tutti a un percorso di umanità.