Napoli «modello Nord»: i gioielli della città affidati alle fondazioni
Il progetto del comune include siti come il Maschio Angioino, Castel dell’Ovo e l'ipogeo di piazza del Plebiscito Una petizione online chiede al sindaco lo stop alla privatizzazione della cultura. L'associazione Mi riconosci: «Al Museo Egizio di Torino 160 persone lavorano a cottimo. Il triplo degli assunti»
Il progetto del comune include siti come il Maschio Angioino, Castel dell’Ovo e l'ipogeo di piazza del Plebiscito Una petizione online chiede al sindaco lo stop alla privatizzazione della cultura. L'associazione Mi riconosci: «Al Museo Egizio di Torino 160 persone lavorano a cottimo. Il triplo degli assunti»
Esiste una questione meridionale anche nelle distribuzione dei fondi statali alla cultura. A ricordarlo ieri al Teatro Mercadante di Napoli è stato il presidente dell’Agis Campania, Luigi Grispello, e il presidente della Svimez, Adriano Giannola: lo stanziamento del Fondo unico per lo spettacolo nel 2019 è stato pari a 2,35 euro per abitante, il contributo pro capite al Nord è stato di 2,64 euro; al Centro 3,26 euro; al Sud 1,43 euro. Se si isola il solo Fus Musica, il 78,26% delle risorse è andato al Centro Nord. Ad esempio per ogni abitante dell’Emilia Romagna sono stati spesi 2,24 euro, per ogni campano 23 centesimi. Franceschini promette un tavolo al ministero per discutere la ripartizione del fondo. Ma intanto lo stato manda le briciole al Mezzogiorno, dove i comuni sono in gran parte in dissesto o predissesto e quindi faticano ad avere risorse proprie da investire.
IL SINDACO DI NAPOLI Manfredi a marzo ha presentato il Piano cultura 2022-2026 ribadendo la volontà di creare una Fondazione pubblica: «Ci consentirà di avere un bilancio autonomo, le risorse prodotte dai siti potranno essere reinvestite nei siti stessi tra manutenzione e gestione». Il modello, ha spiegato, sono le esperienza fatte in Piemonte e Veneto. La fondazione dovrà gestire siti come il Maschio Angioino, Castel dell’Ovo, San Domenico Maggiore e l’Ipogeo di piazza del Plebiscito (fresco di lavori). In generale, l’idea è avviare partenariati pubblico – privato come annunciato per il progetto «Napoli capitale della musica».
UN PIANO che ha allarmato molte realtà del territorio che hanno avviato una petizione su change.org: «Stop alla privatizzazione della Cultura a Napoli!». Nel testo si legge: «Come dimostrato, una gestione privatistica del settore culturale porterebbe nel tempo molti benefici al privato e perdite per il pubblico. Il Cimitero delle Fontanelle, chiuso da due anni, viene citato tra i siti da gestire tramite un partenariato pubblico-privato, un cimitero che è chiaramente sempre stato comunale, pubblico e gratuito». Ancora: «Il sindaco guarda con favore al modello della Fondazione Musei Civici di Venezia: un esempio fortemente criticato per la dichiarata priorità data agli introiti derivanti dal turismo, a discapito della fruizione pubblica; una fondazione che ha chiuso per mancanza di introiti durante la pandemia e che, anche quando avrebbe potuto riaprire, ha prorogato le chiusure perché mancavano i turisti». Infine: «Queste fondazioni tendono ad alzare i prezzi dei biglietti e a risparmiare sul costo del lavoro, ricorrono al volontariato sostitutivo, adottano contratti non adeguati, senza le necessarie tutele e, in caso di perdita, chiedono aiuti allo Stato. Il regime privato permette loro di non ricorrere a concorsi pubblici facilitando assunzioni spesso clientelari e arbitrarie. A causa dell’opacità dello strumento giuridico fondazione, sono problematiche le possibilità di recesso: ogni conferimento si configura di fatto come perpetuo».
SPIEGA MARINA MINNITI (Mi Riconosci? Campania): «Il comune mette a disposizione un bene pubblico, già restaurato, ma gli incassi vanno alla fondazione. Così si sono arricchite nel tempo tante società in Italia che operano nei siti culturali. E si sono sottratti fondi che, se tutto fosse rimasto nel perimetro pubblico, potevano essere reinvestiti nel patrimonio comunale. A Napoli gratuiti sono rimasti solo Castel dell’Ovo e il Cimitero delle fontanelle, che però riaprirà con una nuova gestione. Sarà tutto a pagamento e gestito come servizio al turista tagliando fuori i cittadini, per i quali del resto manca l’alfabetizzazione alla cultura diffusa sul territorio».
L’ASSOCIAZIONE MI RICONOSCI? riporta sul suo sito la sentenza della Corte dei Conti della Basilicata del 2020 relativa alla fondazione che ha gestito Matera Capitale della cultura: «Le modalità e condizionalità con cui sono state effettuate le scelte di utilizzazione delle risorse e la regolarità ed efficienza finanziaria dei relativi oneri non risultano essere accertabili da un organo di controllo esterno: tale problematica si inserisce in quella più generale afferente le frequenti opacità nella gestione delle risorse pubbliche affidate alle fondazioni di partecipazione e, in particolare, alle attività contrattuali».
MANFREDI cita come modello Torino. Mi riconosci? racconta cos’è successo nel 2020 dopo il lockdown: «Al Museo Egizio 160 persone lavorano a cottimo. Circa il triplo di quante vi lavorano regolarmente assunte. Collaborazione tramite partita Iva, compenso a seconda del numero di prestazioni portate avanti. Già prima del lockdown, ci dicevano “siamo lavoratori autonomi, ma con pochissimo controllo sull’orario e sul carico di lavoro, da cui dipende la paga”. Dopo il lockdown: “Ci hanno decurtato il tariffario visto che hanno ridotto il costo del biglietto”. Il Museo Egizio da statale è astato trasformato in fondazione. Ha più che raddoppiato i biglietti di ingresso, arrivando a scivolare in iniziative come Zumba tra le statue».
ESEMPI DI STRUMENTI PRIVATI per gestire iniziative culturali con fondi pubblici ce ne sono anche in Campania. Come Scabec: nata come partecipata dalla regione con i privati per gestire i servizi nei musei, trasformata da De Luca in spa al 100% della regione a cui è stata affidata la gestione delle maggiori rassegne campane. La guardia di finanza ha acquisito gli atti dal 2010 al 2021: ci sarebbe un buco di bilancio intorno ai 3,6 milioni, il personale lievitato a 48 unità, solo due a tempo indeterminato, 16 licenziati il mese scorso perché sembrerebbero stati assunti senza una regolare selezione, in 46 con contratti prorogati oltre i termini di legge e in alcuni casi con stipendi lievitati senza adeguata copertura di bilancio. Assunzioni e incarichi di consulenze su cui adesso si indaga senza che gli organi di controllo abbiano mai sollevato un dubbio.
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