Nell’indifferenza generale, tra gli sbadigli dei commentatori europei, italiani in testa, che giudicano «routine» uccisioni, aggressioni e scontri, la Cisgiordania è ormai in stato di guerra. Anzi due guerre. Una tra le forze militari israeliane, impegnate in raid quotidiani, e i gruppi combattenti palestinesi più organizzati che in passato e determinati a non farle entrare in città e villaggi (giovedì notte a Jenin è stato ucciso un 19enne palestinese, Salah al Buraiki). E un’altra tra coloni israeliani sempre più liberi di agire come credono e contadini palestinesi decisi a difendersi. Il quotidiano di Tel Aviv, Haaretz, riferiva ieri che i servizi di sicurezza hanno registrato 100 attacchi violenti di nazionalisti israeliani solo negli ultimi 10 giorni. In particolare, nella cittadina di Hawara, punto di passaggio obbligato per i coloni insediati in alcune roccaforti dell’estremismo religioso di destra (come Yizhar ed Elon Moreh) e per la popolazione autoctona palestinese nel nord della Cisgiordania. Il capo di stato maggiore Aviv Kochavi, sottolinea Haaretz, non mostra interesse per incidenti se gli aggrediti sono palestinesi. Ma quando i coloni hanno attaccato un’unità dell’esercito, ha descritto l’accaduto come «un incidente molto grave, che incarna un comportamento criminale vergognoso».

Ieri l’aggressione più grave è avvenuta a danno degli abitanti di Qafin «colpevoli» di essere andati ai loro uliveti vicini a una colonia. Un filmato, diffuso dalla ong Yesh Din, mostra a Burin un soldato che, nel pieno di incidenti, insegna a un colono come lanciare lacrimogeni ai palestinesi. A inizio settimana coloni avevano aggredito una settantenne ebrea, Hagar Geffen, perché aiutava palestinesi di Kisan (Betlemme) nella raccolta delle olive. È stata ricoverata in ospedale con costole incrinate e un trauma cranico.

A pochi chilometri da Burin c’è Nablus, la seconda città più grande della Cisgiordania (circa 200mila abitanti), da 13 giorni isolata con un ampio cordone militare, all’interno del quale si incontrano posti di blocco ovunque. Si esce solo per casi di emergenza e permessi speciali. L’obiettivo, spiegano le autorità israeliane, è «lottare contro il terrorismo» e aumentare la pressione sul gruppo armato «Areen al Aswod» (Fossa dei Leoni), responsabile dell’uccisione di un soldato e che si dice pronto a respingere le incursioni in città dell’esercito. «Siamo costretti a percorrere strade sterrate e di montagna per uscire da Nablus – ci racconta Amir, impiegato pubblico a Ramallah, – oppure ad attendere in lunghe file ai posti di blocco militari, prima poter passare con un permesso speciale». Le truppe israeliane hanno chiuso il checkpoint di Hawara, l’ingresso principale di Nablus e la strada di Deir Sharaf, che porta a Jenin e Tulkarem, con cumuli di terra e cubi di cemento. L’esercito sta allestendo un posto di blocco permanente nel villaggio di Surra, che porta a Qalqilya. Restrizioni coinvolgono anche Beit Furik e Beit Dajan, l’area di Awarta. La strada per Asira al-Shamaliah di fatto è l’unica aperta nelle vicinanze della città.

Sami Hijjawi, il primo cittadino di Nablus, spiega che l’esercito, dopo rigidi controlli, consente un ingresso limitato nella città ma non di uscire, se non in pochi casi e con attese di 2-3 ore. Le attività commerciali, ha aggiunto, sono penalizzate dalla chiusura. Uffici pubblici e società private lavorano solo in parte perché i dipendenti che abitano in altri centri non riescono a entrare in città. Yassin Dwaikat, presidente della Camera di Commercio, calcola in circa 40.000 le persone che ogni giorno giungono a Nablus, il polmone economico della Cisgiordania settentrionale.

Nella città ci sono quattro aree industriali, grossisti, importatori e società di servizi oltre ad ospedale ben attrezzato e una università, Al Najah, la più importante dopo Bir Zeit, in cui studiano migliaia di giovani palestinesi, molti dei quali da circa due settimane non partecipano alle lezioni. Il pugno di ferro non terminerà presto. A dieci giorni dal voto per la Knesset, il premier Lapid e il ministro della difesa Benny Gantz non intendono apparire deboli agli occhi degli elettori israeliani.