Niente tregua, Gaza e Beirut sono sotto tiro
Invado avanti Decine di uccisi e feriti nella Striscia e in Libano. 29 Ong: Israele permette il saccheggio da parte di criminali degli aiuti umanitari. Protesta la madre del reporter Fadi Wahidi, in coma. Non gli è permesso uscire dall’enclave
Invado avanti Decine di uccisi e feriti nella Striscia e in Libano. 29 Ong: Israele permette il saccheggio da parte di criminali degli aiuti umanitari. Protesta la madre del reporter Fadi Wahidi, in coma. Non gli è permesso uscire dall’enclave
Esortava ad andare avanti con l’offensiva a Gaza, in Libano e nel resto della regione ieri Zvi Yehezkali, influente giornalista israeliano ed esperto di mondo arabo. «In Medio oriente abbiamo appena iniziato quindi andiamo avanti. Nella guerra ci sono alti e bassi, è normale», ha detto durante un’intervista. Laico da giovane, Yehezkali è diventato quello che si dice un «baal teshuva», un ebreo che «ritorna all’Ebraismo», abbracciando però non solo la religione ma anche l’ultranazionalismo. Oggi il giornalista è uno dei tanti personaggi pubblici israeliani che appoggiano più di ogni altra cosa la continuazione dell’offensiva nella Striscia che ieri ha ucciso 36 palestinesi e ferito decine di altri, in particolare a Gaza city. Almeno 15 sono morti nel bombardamento della scuola Abu Assi, piena di sfollati, nel campo profughi di Shati (ieri sera c’erano ancora persone sotto le macerie). Altri cinque in un negozio di barbiere, quattro in una casa e le rimanenti a Khan Younis e altre località.
Non c’è tregua – nonostante le voci di progressi nelle trattative indirette, mediate dagli Usa e approvate di fatto dall’Iran, tra Israele e Hezbollah – neanche a Dahiyeh alla periferia meridionale di Beirut dove il movimento sciita libanese ha uffici e basi. Ci vivevano fino allo scorso agosto centinaia di migliaia di civili libanesi, ora non c’è praticamente più nessuno. Ieri l’aviazione israeliana ha colpito cinque volte l’area e ha lanciato attacchi sulla città meridionale di Tiro e nei villaggi circostanti. L’esercito israeliano si è spinto fino al villaggio di Chamaa, a cinque chilometri dal confine, dove ha fatto saltare diverse abitazioni e parte del santuario di Simon, secondo fonti locali, prima di arretrare. Nel pomeriggio i comandi israeliano hanno lanciato una raffica di avvisi di evacuazione a sud di Beirut (Haret Hreik, Burj al-Barajneh e Ghobeiri), per 14 edifici di Tiro e 15 villaggi nel Libano meridionale. Secondo i media libanesi le aree in cui era stato ordinato di evacuare erano già sotto bombardamento prima che venissero diramati gli avvertimenti, pubblicati dal portavoce in lingua araba dell’esercito israeliano. Ieri sera il ministero della sanità libanese riportava che altre sei persone sono state uccise, tra cui tre bambini, ad al-Khraiba e altre 11 persone, tra cui cinque bambini, sono rimasti feriti. Tra i quasi 60 libanesi uccisi tra venerdì e ieri, ci sono anche due paramedici colpiti da un drone e che si aggiungono ai 12 soccorritori della protezione civile uccisi giovedì da un raid aereo.
La crisi umanitaria a Gaza si alimenta ogni giorno di nuove notizie e sviluppi spesso inquietanti. Secondo 29 ong internazionali e locali, l’esercito israeliano non fa nulla per impedire il saccheggio da parte di bande di criminali degli aiuti umanitari destinati alla popolazione della Striscia. «I saccheggi sono un problema ricorrente, conseguenza del fatto che Israele prende di mira le forze di polizia (di Hamas), della mancanza di strade, della chiusura della maggior parte dei valichi di frontiera e della disperazione della popolazione che si trova in condizioni disastrose», affermano le ONG, tra cui Médecins du Monde, Oxfam e il Norwegian Refugee Council. Nel rapporto, le Ong affermano che «in alcuni casi» mentre gli agenti di polizia palestinesi «cercavano» di intervenire contro i saccheggiatori, «sono stati attaccati dalle truppe israeliane». Nel rapporto si riferisce di almeno sette attacchi contro il personale umanitario tra il 10 ottobre e il 7 novembre, durante i quali sono stati uccisi 11 operatori umanitari e tre ragazzi.
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Sterminare, espellere, ricolonizzare: il piano israeliano per il nord di GazaA Gaza ha cominciato lo sciopero della fame di Heba Al Wahidi, madre di Fadi al Wahidi, il cameraman di Al Jazeera ferito da colpi di arma da fuoco israeliani il mese scorso, allo scopo di fare pressione su Israele affinché permetta di cercare cure mediche all’estero per suo figlio. Al Wahidi è in coma dopo essere stato colpito al collo nelle scorse settimane mentre faceva un reportage dal campo profughi di Jabaliya. La donna ha spiegato che da 40 giorni l’esercito israeliano non risponde alla richiesta di far uscire il giovane dalla Striscia nonostante le sue gravi condizioni. Anche un altro giornalista di Al Jazeera, Ali al-Attar, ferito dai soldati israeliani il mese scorso, ha bisogno di cure mediche immediate all’estero.
Intanto ieri un C-130 dell’Aeronautica militare italiana è partito per Cipro oltre 15 tonnellate di aiuti per la popolazione di Gaza. Da Cipro il materiale verrà trasferito nella Striscia. Il ministro della Difesa Crosetto parla con soddisfazione di questo progetto noto come «Food per Gaza» per la popolazione palestinese, ma nel frattempo la Farnesina senza spiegazioni continua a tagliare fuori l’ufficio di Gerusalemme dell’Agenzia della cooperazione italiana e le nostre ong in Palestina dall’aiuto alla Striscia.
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