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Myanmar, la giunta condanna a morte 139 dissidenti

Myanmar, la giunta condanna a morte 139 dissidentiManifestanti contro la giunta golpista a Yangon nel 2021 – Ap

Asia Alto commissario Onu per i diritti umani: «Strumento per schiacciare l’opposizione»

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 4 dicembre 2022

Dopo aver giustiziato questa estate, in segreto e per la prima volta, quattro attivisti condannati a morte, i militari della giunta birmana potrebbero portare a compimento decine di altre esecuzioni capitali visto che avrebbero condannato a morte quasi 140 dissidenti. Il numero finora ignoto dei condannati alla pena capitale è stato fatto venerdì dall’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Volker Türk: il rappresentante dell’Ufficio Onu che ha sede a Ginevra si è detto scioccato per la condanna di 139 dissidenti di cui l’Onu ha avuto notizia e che sono stati condannati dalla giustizia militare birmana a porte chiuse.

L’UFFICIO DI TÜRK ha anche reso noto che almeno sette studenti universitari sono stati condannati a morte da un tribunale militare il 30 novembre scorso mentre ci sarebbero state altre quattro condanne a morte il primo dicembre. Notizie che hanno spinto l’Alto rappresentante a chiedere chiarimenti alla giunta militare che ha preso il potere l’1 febbraio del 2021 in Myanmar.
«I militari continuano a tenere procedimenti in tribunali segreti in violazione dei principi fondamentali del giusto processo – si legge in una nota che riferisce i commenti di Türk – e che sono contrari alle fondamentali garanzie giudiziarie di indipendenza e imparzialità. I tribunali militari hanno costantemente mancato di garantire trasparenza agendo contro le più elementari garanzie di un giusto processo.

Ricorrendo all’uso delle condanne a morte come strumento politico per schiacciare l’opposizione, l’esercito conferma il proprio disprezzo per gli sforzi dell’Asean (l’associazione di dieci Paesi del Sudest asiatico di cui il Myanmar fa parte ndr) e della comunità internazionale in generale per porre fine alla violenza e creare le condizioni per un dialogo politico che porti il Myanmar fuori dalla situazione di crisi creata dai militari», conclude la nota dell’Ufficio per i diritti umani Onu che ha chiesto la sospensione di tutte le esecuzioni e il ritorno alla moratoria sulla pena di morte che era in vigore dagli anni Ottanta ma che la giunta ha rotto nel luglio scorso quando sono state eseguite le prime quattro esecuzioni: il parlamentare Kyaw Min Yu (detto Ko Jimmy) e lo scrittore Ko Phyo Zeya Thaw sono stati giustiziati con i due compagni di lotta Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw a fine luglio.

LE ESECUZIONI – le prime dal 1988 – erano state annunciate dai militari in giugno e avevano suscitato una forte reazione internazionale con gli appelli a desistere dell’Asean e di diversi altri paesi tanto che la giunta ha poi scelto di giustiziarli in un luogo segreto rendendo pubblica la vicenda solo un paio di giorni dopo.
La violazione delle più elementari regole di garanzia è una costante dal 1 febbraio 2021 in un Paese che nemmeno prima del golpe brillava per trasparenza giudiziaria: secondo l’Assistance Association for Political Prisoners (Aapp-Burma), dall’inizio del golpe oltre 16.500 sono state arrestate dai militari e 13mila sono ancora in carcere mentre più di 2.500 persone sono state uccise dai militari golpisti: un numero per difetto dal momento che Aapp segnala solo le morti che può documentare. Inoltre chi viene arrestato non ha accesso a una difesa corretta e viene giudicato da tribunali a porte chiuse che emettono spesso sentenze anche solo in pochi minuti.

INTANTO NEL PAESE non si vede il minimo spiraglio negoziale e Duwa Lashi La, presidente ad interim del Governo birmano clandestino di unità nazionale (Nug), ha detto che il suo esecutivo potrebbe prendere in considerazione l’avvio di un dialogo con il regime militare solo se la giunta smettesse di uccidere civili, garantisse il suo ritiro dalla politica e accettasse di abolire la Costituzione del 2008, (che, secondo la lettura dei militari, renderebbe il golpe «legittimo»). Duwa Lashi La ha aggiunto che i militari non devono interferire nella distribuzione degli aiuti umanitari internazionali.

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