Musk in America Latina è a caccia di potere e litio
L’alleanza di ferro con le destre Gli elogi a Milei e lo scontro con Lula, una strategia per «dire al mondo dove deve andare»
L’alleanza di ferro con le destre Gli elogi a Milei e lo scontro con Lula, una strategia per «dire al mondo dove deve andare»
Nel giro di poco più di due mesi Elon Musk ha riempito di elogi il presidente argentino Milei, ha combattuto quello venezuelano Nicolás Maduro appoggiando la leader dell’opposizione María Corina Machado, si è duramente scontrato col presidente Lula e ha fatto infuriare il presidente (ancora per una decina di giorni) messicano Andrés Manuel López Obrador (Amlo).
MUSK ha sempre manifestato ostentatamente il suo punto di vista – amplificato dai mass media – dall’invasione russa dell’Ucraina, la crisi del fentanyl negli Usa fino all’organizzazione dei mondiali di calcio in Qatar, e il suo pieno appoggio a Trump. Ma l’attenzione posta dal magnate sudafricano all’America latina negli ultimi mesi lascia intendere una strategia ben definita.
L’alleanza con leader di destra può servire al businessman non solo a procurargli nuovi mercati, ma anche a dare maggiore risonanza ai suoi brand, secondo la logica pubblicitaria che di essi importa che si parli il più possibile. Ma, per altri analisti, un successo in America latina può essere il banco di prova dell’egocentrico miliardario per «dire al mondo dove deve andare». Ovvero per imporre la sua linea politica.
Di sicuro gli elogi alle destre latinoamericane e il sostegno a Milei possono favorire l’ingresso nel mercato del litio, essenziale per le batterie delle auto elettriche Tesla (compagnia che Musk possiede). Tantopiù che il miliardario è impegnato a incrementare la presenza di Tesla in America latina: fino al 2023 aveva sei filiali in Messico, però lo scorso febbraio ha aperto una rappresentanza in Cile (paese che assieme a Argentina e Bolivia forma il cosidetto triangolo del litio).
NEI PIANI DI MUSK vi era anche l’espansione della sua attività in Messico con la costruzione di una megafactory a Monterrey con un investimento di 5 miliardi di dollari. Progetto posto per ora in naftalina in attesa dell’eventualità che Trump sia eletto di nuovo presidente e che applichi il suo programma di duplicare i dazi per le auto importate dal Messico. L’appoggio preventivo di Musk alla linea di Trump ha fatto infuriare Amlo.
Ma le ambizioni di Musk sono ben maggiori: espandere Starlink (internet satellitare) legato a X (ex Twitter) nel subcontinente dove è presente da due anni. Oggi Starlink è presente in Argentina, Messico, Cile, Colombia, Salvador, Repubblica dominicana, Perù e Brasile (dove conta più di 200.000 utenti) e conta di espandersi in Uruguay, Bolivia e Paraguay.
Lo scontro col giudice brasiliano Alexandre de Moraes – che ha chiuso X e bloccato Starlink in Brasile dopo il rifiuto di Musk di escludere dal suo social network alcuni seguaci dell’ex presidente Bolsonaro che diffondevano notizie false- è diventato un confronto col presidente Lula che, chiedendo rispetto per le istituzioni giuridiche brasiliane, ha appoggiato il giudice. Da parte di Musk è diventata una battaglia a livello globale contro i woke «che vogliono limitare la libertà di espressione».
La destra brasiliana si è apertamente alleata con Musk, nonostante della libertà di espressione diffidi assai. Ma i milioni di utenti di X (più di 20 milioni solo in Brasile) e di Starlink sono visti come un fenomenale veicolo per la loro linea politica. A sua volta a Musk poco importa del possibile corto circuito libertario con la destra, il cui appoggio necessita per affermare le crescenti capacità di intervento globale che le nuove tecnologie conferiscono al suo maxi-oligopolio.
LO SCONTRO potrà avere conseguenze nelle elezioni del 6 ottobre del governo della città di San Paolo, la più grande (23 milioni di cittadini) e importante del Brasile. Attraverso X il miliardario sudafricano appoggia i candidati di Bolsonaro, che è interdetto da cariche politiche fino al 2030. È uno scontro politico che si inserisce in quello, molto spesso latente ma concreto, tra i poteri delle istituzioni nazionali e sovrane e le capacità di intervento globale dei maxi monopoli.
Insomma in America latina si sperimenta quello che alcuni analisti avevano previsto quando Musk decise di acquisire Twitter: non era per fare utili, ma per acquisire potere politico. Che ora intende mettere a frutto, magari proponendosi come «ministro della disinformazione» di Trump.
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