Internazionale

Muro contro muro tra Beirut e Riyadh. Kordahi non si dimette

Muro contro muro tra Beirut e Riyadh. Kordahi non si dimetteIl ministro libanese dell'informazione George Kordahi

Beirut/Riyadh A Sanaa il ministro libanese dell'informazione è diventato un eroe per aver definito sbagliata e inutile l'offensiva militare in Yemen dell'Arabia saudita e i suoi alleati. Riyadh è decisa a punire il Libano per quelle dichiarazioni

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 2 novembre 2021

George Kordahi sapeva di essere famoso nel mondo arabo per la conduzione del talent Who Wants to be a Millionaire. Ma che potesse diventare un eroe in Yemen non se lo aspettava. Il neoministro dell’informazione libanese da un paio di giorni appare nelle vie di Sanaa in poster enormi che inneggiano al suo coraggio. «Sì George, la guerra in Yemen è inutile», recita una scritta apparsa nella capitale yemenita. Parole che si riferiscono alle considerazioni espresse da Kordahi nell’intervista che ha causato una crisi diplomatica aspra con l’Arabia saudita e i suoi alleati arabi che dal 2015 rovesciano bombe e missili sullo Yemen uccidendo tanti civili innocenti e non solo i ribelli sciiti Houthi che combattono contro il governo riconosciuto da Riyadh.  Nel fine settimana Arabia Saudita, Emirati, Bahrein e Kuwait hanno deciso l’espulsione dei diplomatici libanesi e richiamato i propri ambasciatori da Beirut in reazione alle parole di Kordahi. Riyadh inoltre ha congelato le importazioni dal Libano mentre il paese dei cedri vive la crisi economica e finanziaria più grave degli ultimi decenni.

Un poster a Sanaa con George Kordahi

La colpa del ministro libanese, un cristiano maronita, è quella di far parte di un partito, Marada, alleato del movimento sciita Hezbollah, avversario dei sauditi. Quello è il suo vero «crimine», perché, a conti fatti, nell’intervista ha descritto solo la realtà sul terreno: i ribelli Houthi sono yemeniti, agiscono nel loro paese e pertanto compiono azioni di autodifesa contro l’aggressione militare condotta dall’Arabia Saudita e dagli Emirati. Si potrà essere d’accordo o in disaccordo con le ragioni della ribellione sciita che gode dell’appoggio dell’altro attore protagonista sul palcoscenico mediorientale, l’Iran. Ma Kordahi, che non ha intenzione di dimettersi, ha ragione: la guerra saudita in Yemen è un crimine, è sbagliata. Riyadh non ha forse subito critiche anche dal Congresso Usa e da alcuni Stati europei? Portuali, operai e attivisti italiani nei mesi scorsi non sono scesi in campo per impedire che altre bombe da sganciare in Yemen arrivassero all’Arabia saudita?

La posta in gioco di questa crisi è strategica. A spiegarlo è stato proprio il ministro degli esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, a margine del vertice del G20. La crisi tra Arabia Saudita e Libano, ha detto, è legata al sistema politico di Beirut che, a suo dire, rafforza «il dominio del gruppo armato di Hezbollah». Riyadh, ha aggiunto, «sosterrà qualsiasi sforzo verso una riforma che riporti il Libano a riacquisire la sua posizione nel mondo arabo». In parole povere vuol dire che la monarchia saudita è decisa a fare di tutto pur di azzerare l’influenza iraniana e dei suoi alleati, non solo sciiti, in Libano e nel resto della regione. Anche con una guerra. E conta sull’Amministrazione Biden. Attraverso il segretario di Stato, Antony Blinken, gli Usa hanno ribadito che nei confronti di Tehran sono possibili tutte le «opzioni» se i negoziati sul programma atomico iraniano, che riprenderanno presto, non porteranno i risultati che si attende Washington.

Alla guerra all’Iran e a Hezbollah si prepara Israele che domenica ha avviato una vasta esercitazione in cui, per una settimana, sarà simulato uno stato di emergenza dovuto al lancio migliaia di razzi di Hezbollah contro le città israeliane. Uno scenario credibile dopo un attacco militare di Israele (o assieme agli Usa) contro le centrali nucleari iraniane. In quel caso si prevede che non solo l’Iran ma anche l’ala armata del gruppo sciita libanese risponderanno lanciando missili e razzi verso le infrastrutture nel porto di Haifa, Tel Aviv e molte altre località israeliane situate al confine col Libano i cui abitanti prevedibilmente dovranno restare chiusi a lungo nelle proprie abitazioni. Ma l’esercitazione prevede anche l’addestramento delle forze di sicurezza alla repressione di eventuali proteste nei centri abitati arabi di Israele.

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