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Murat Fıratoglu: «Mettiamo in atto una censura preventiva nella testa»

Murat Fıratoglu: «Mettiamo in atto una censura preventiva nella testa»Una scena da «One of Those Days When Hemme Dies»

Venezia 81 Intervista al regista turco, ha presentato in Orizzonti il suo esordio "One of those Days when Hemme dies"

Pubblicato circa un mese faEdizione del 7 settembre 2024

«Mi fa piacere che a chiedermi le interviste qui a Venezia siano soprattutto giornali di sinistra perché questa è la mia visione politica. Si potrebbe dire che il protagonista del mio film rimanga passivo di fronte a ciò che accade, ma credo che ciò rifletta lo spirito del nostro tempo: passiamo tutto il giorno sui social, è come se dormissimo per 24 ore senza pensare a come vanno davvero le cose». Così Murat Fıratoglu inizia la nostra conversazione su One of Those Days When Hemme Dies, il suo esordio alla regia presentato nella sezione Orizzonti. È contento di essere a Venezia, nella vita fa l’avvocato, ma ci racconta di avere una passione per il cinema sin da bambino. I suoi riferimenti sono chiari: «Per me questo film è un po’ neorealista, adoro Miracolo a Milano e ci sono alcuni rimandi se si fa attenzione». Nel cast ci sono suo fratello, gli amici, i parenti, lui stesso, tutti attori non professionisti.

One of Those Days… – «il cinema autenticamente indipendente esiste ancora» era stato il commento di Barbera nel presentarlo – inizia con un paesaggio per noi familiare: un campo di pomodori dove va in scena lo sfruttamento dei lavoratori, il rosso degli ortaggi crea delle forme che si compongono e scompongono sul terreno. Il capo è Hemme, il protagonista Eyup, un uomo indebitato fino al collo. «Ho visto questi campi, dove fa davvero caldo, e ho deciso di girare lì. Non mi piace che nei film le cose vengano dette in maniera diretta, se c’è un uomo arrabbiato faccio vedere magari i pomodori che si schiacciano cadendo. Quando giro non penso, seguo l’istinto, solo dopo al montaggio faccio delle scelte».

Dopo un diverbio tra Eyup e Hemme il film cambia registro, il protagonista sembra intenzionato a vendicarsi ma la vita gli pone davanti tutta una serie di contrattempi, di avvenimenti che rallentano e forse fermano la sua corsa. È una bellissima deriva in Anatolia, tra campagne e piccoli paesi, che riflette il modo di vivere «lento» e un po’ fatalista delle aree rurali del Sud.

VIENE ANCHE scardinata una certa gerarchia tra gli elementi: una rosa può meritare più attenzione di un dialogo. «Non sappiamo cosa succederà a Eyup: magari prenderà la motocicletta per andare da qualche altra parte, magari lotterà per un salario migliore, magari si impiccherà. Ho scritto la sceneggiatura ma poi ho fatto un film del tutto diverso. Penso a registi come Roy Andersson, a un cinema minimalista in cui azioni molto piccole danno vita a grandi narrazioni».
Chiediamo a Fıratoglu se sia complicato essere un regista in Turchia al giorno d’oggi. «Non abbiamo avuto difficoltà nel chiedere alcuni finanziamenti al governo ma è come se ormai mettessimo in atto una sorta di censura preventiva che parte dalle nostre teste. Non credo sia così solo in Turchia però». Gli chiediamo infine se ha progetti per il futuro, dice di averne molti, ma uno in particolare: «Vorrei girare una nuova versione di Comizi d’amore di Pasolini, andando in giro per la Turchia chiedendo alle persone: Cos’è l’amore per te?».

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