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Msf, Castellano: «I trattamenti disumani non fermano persone determinate a passare la frontiera»

Msf, Castellano: «I trattamenti disumani non fermano persone determinate a passare la frontiera»Ventimiglia, migranti sul fiume Roja – Ansa

Intervista La responsabile medico di Medici senza Frontiere a Ventimiglia: «Un uomo era con la figlia, piangeva disperato. Quando si è calmato ci ha detto "io devo arrivare in Francia", ha preso la bambina per mano ed è ridisceso verso la frontiera»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 5 agosto 2023

Quasi tutti i migranti intercettati dalla clinica mobile di Medici senza frontiere a Ventimiglia arrivano da Lampedusa. Quello che trovano è l’insediamento informale sulle rive del fiume Roja. «Condividono i loro rifugi improvvisati con animali selvatici e ratti, esposti al meteo e ai rischi della vita di strada» racconta Marina Castellano, responsabile medico di Msf a Ventimiglia.

Quali sono le condizioni dell’insediamento?
Siamo arrivati a ottobre, eravamo sul piazzale dove le organizzazioni si danno il cambio ogni sera per la distribuzione del cibo: attenti ai cinghiali, ci hanno avvisato i volontari. E infatti, quando è iniziata la distribuzione dei pasti, le persone hanno iniziato a radunarsi e, dalla parte del ponte sul Roja, sono arrivati in fila anche i cinghiali. Le condizioni igieniche sono veramente disastrose.

I problemi sanitari raccontano le ingiustizie che patiscono.
Pensiamo alla scabbia: i migranti ovunque arrivino, in Calabria, a Lampedusa o Ventimiglia, chiedono subito di potersi lavare. Invece sono costretti a sopportare condizioni igieniche pessime che favoriscono quel tipo di parassita, che vive benissimo nella sporcizia. Sono anche costretti a vivere scambiandosi le cose, soprattutto coperte e vestiti, tutto questo li espone alle malattie della pelle. Alla Caritas possono fare la doccia, quando il centro è chiuso ci sono solo i bagni pubblici e quando gli esercizi sono chiusi non c’è più nulla. Un problema che diventa più grave per le donne. Le infezioni a livello genitale sono altissime, anche nelle ragazze e nelle bambine. Molti sono disidratati e malnutriti.

I respingimenti hanno effetti su persone che già sopportano un carico di sofferenze?
Il nostro team la mattina presto è già sulla frontiera. I primi a essere rimandati indietro sono le donne e i bambini, spesso le famiglie vengono separate. Li accogliamo con il tè perché ci dicono di essere stati trattenuti in Francia per ore senza mangiare e bere. Molti si siedono lì e incominciano a piangere, altri ci dicono di essere determinati a riprovare perché dall’altro lato hanno la famiglia. I bambini sono stanchi, hanno passato una notte dentro un container prima di essere rimandati indietro: hanno fame, sete e sonno, vorrebbero dormire tranquilli e invece sono lì seduti in mezzo a una strada che aspettano un bus che li riporti a Ventimiglia. Tutto questo è terribile.

È possibile aiutarli dal punto di vista psicologico?
Una vera presa in carico non è possibile perché sono persone che andranno via, bisogna fare una sorta di primo supporto. Le donne spesso ci parlano delle violenze, ci dicono delle cose ma non si aprono completamente e noi non insistiamo perché se si comincia a raccontare tutto poi, durante il viaggio, cosa succederà? Si deve riuscire ad arrivare alla meta e lì trovare qualcuno che aiuti.

I trattamenti disumani a cui sono sottoposti servono a scoraggiarli?
Quindici giorni fa c’era un uomo con la figlia di circa tre anni e mezzo, doveva raggiungere i familiari in Francia: la bambina aveva una brutta infezione all’orecchio, ho chiesto al mediatore di informarsi, di indirizzarli da noi per curare l’infezione. Il mediatore ha spiegato tutto e l’uomo è scoppiato a piangere. Si è voltato verso il muro, ha nascosto la testa dietro il braccio per non farsi vedere dalla bambina. Piangeva e piangeva, era disperato. Quando si è calmato ci ha detto «Io devo arrivare in Francia», ha preso la bambina per mano ed è ridisceso verso la frontiera. Nel pomeriggio li abbiamo rivisti, erano stati respinti ancora. Ci ha portato la bambina e l’abbiamo curata. Ci sono persone che tentano molte volte, anche nello stesso giorno. È l’obiettivo che li ha spinti a partire.

Alla frontiera nessuno riesce a far valere i propri diritti.
Un giorno è arrivata una ragazza per farsi visitare. L’accompagnava un’altra ragazzina eritrea: aveva dei noduli sul collo che non mi piacevano. L’abbiamo visitata, facevano pensare purtroppo a un tumore. Ci ha detto: «Lo so che ho qualcosa, voglio andare da mia sorella a farmi curare, da dove arrivo mi hanno soltanto detto che avevo delle cose, delle malformazioni della pelle». Quella ragazza, che a 16 anni ha fatto un viaggio terribile per curare una malattia grave, è già stata respinta più volte.

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