«Stiamo valutando l’opportunità di togliere i Talebani dalla lista delle organizzazioni terroristiche». Veicolata dall’agenzia governativa Tass, la notizia è partita due giorni fa dal ministero degli Esteri di Mosca. Un segnale inviato all’Emirato dei Talebani ai quali, già da due anni, Putin fa subodorare uno sdoganamento che, pur non essendo il riconoscimento formale dell’Emirato, farebbe loro molto comodo. Finora non è mai arrivato. Ma è significativo che l’idea venga riproposta ora, a ridosso dell’attentato al Crocus City Hall di Krasnogorsk rivendicato dallo Stato islamico e che, secondo alcune agenzie di intelligence, porta la firma della “provincia del Khorasan”, la filiale fondata in Afghanistan nel gennaio 2015.

IL SEGNALE VA LETTO insieme a un’altra notizia proveniente da Mosca: confermato l’invito ai Talebani per il forum economico tra Russia e mondo islamico che si terrà a Kazan, nella Repubblica del Tatarstan, tra il 14 e il 19 maggio. Così ha dichiarato Zamir Kabulov, rappresentante speciale del presidente Putin per l’Afghanistan e principale artefice della strategia russa con i Talebani. Basata su una considerazione: sono al potere e ci resteranno, con loro bisogna collaborare, soprattutto nell’antiterrorismo. Una considerazione mantenuta anche dopo che, nel settembre 2022, la “provincia del Khorasan” ha colpito l’ambasciata russa a Kabul. E anche dopo l’attentato di Mosca del 22 marzo.

Il ragionamento non è esclusivo di Mosca. Sull’antiterrorismo, tutti i Paesi della regione mantengono aperti i canali di comunicazione, anche se il portavoce dell’Emirato assicura di non aver bisogno di assistenza. Lo fanno anche Stati Uniti e Regno Unito. Tanto che perfino Washington ha riconosciuto il ruolo dei Talebani nella repressione dello Stato islamico in Afghanistan, encomiandoli per aver fatto fuori, nell’aprile 2023, il principale organizzatore dell’attentato che il 26 agosto 2021, nei giorni dell’«evacuazione», ha colpito l’Abbey gate dell’aeroporto di Kabul uccidendo almeno 160 civili afghani e 13 marines.

Non mancano le preoccupazioni, ma tra i Paesi della regione domina un ragionamento: ai Talebani, per ora, non c’è alternativa. Da qui le mosse concilianti di Mosca, che chiederà a Kabul un’ulteriore stretta sullo Stato islamico, ma che, come molte altre capitali, non ha molte leve di condizionamento. Se la matrice del Khorasan dovesse essere confermata, verrebbe indebolita la retorica dell’Emirato garante della stabilità e cintura di sicurezza contro i jihadisti.

Ma l’equilibrio regionale non ne verrebbe troppo alterato. E i Talebani sembrano preoccupati più della tenuta interna. Gli attentati della “provincia del Khorasan” sono accompagnati da una campagna che mira a screditarli, presentandoli come traditori del jihad. E il passaggio dalla guerriglia ai ministeri rischia di disincentivare i militanti attratti dalla violenza e dall’ideale della lotta. Le sirene del jihad globale risuonano forti.

ANCHE DA QUI DERIVA LA SCELTA di rendere pubblico, subito dopo l’attentato a Krasnogorsk, un nuovo audio della guida dei fedeli, l’Amir al-muminin Haibatullah Akhundzada. Il quale ha alzato il tiro, attaccando democrazia liberale e diritti umani come «alleati di Satana», assicurando che la battaglia è ancora lunga e annunciando che le donne torneranno a essere lapidate in pubblico. Un modo per accreditare l’Emirato come custode del vero jihad e del vero Islam, di fronte agli attacchi dello Stato islamico. Mosca, Pechino e Teheran, i grandi attori regionali che hanno ormai fatto i conti con il ritorno al potere dei Talebani, non si preoccupano dell’ultima uscita del leader supremo. Conta l’antiterrorismo, non l’apartheid di genere.

Per ora, dunque, l’equilibrio non cambia. I Talebani, che per tornare al potere non hanno esitato a colpire anche i teatri perché «occupazione militare e culturale sono la stessa cosa», sono gli stessi a cui chiediamo di prevenire attentati come quello al Crocus City Hall di Mosca.