Susan John ed Azzurra Campari. Due donne unite da un comune destino: morte in un carcere italiano a poche ore l’una dall’altra. Lo stesso carcere. Entrambe per volontà propria anche se con modalità diverse. Susan ha smesso di mangiare e bere il giorno dopo essere entrata nel carcere di Torino in forza di una sentenza di condanna a 10 anni e 4 mesi per tratta di persone. Dicono che si sia sempre proclamata innocente. A Torino aveva la sua famiglia, marito e due figli. Non conosceva la lingua italiana e parlava solo inglese. Ha deciso che non voleva più vivere, non a quel prezzo, avrebbe per ciò caparbiamente rifiutato acqua, cibo e qualsiasi cura medica fino all’estremo sacrificio. Così e stato. Il 10 agosto scorso Susan se ne è andata lasciando un biglietto scritto apparentemente di suo pugno: «Se mi succede qualcosa avvisate il mio avvocato». Aveva 43 anni.

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Azzurra Campari era una ragazza di 28 anni con problemi di tossicodipendenza. Era giunta anche lei a Torino da Genova, reclusa per reati minori contro il patrimonio. Una vita tormentata, la madre non aveva mai smesso di seguirla.

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Azzurra soffriva molto la detenzione ed aveva tentato, in un recente passato, atti di autolesionismo. Dall’isolamento in cui era chiusa ha fatto un’ultima video chiamata alla madre, preoccupata per la sua salute, dicendo disperata: «Mamma non ce la faccio più». Azzurra si è impiccata nella sua cella.

Lo Stato ha perso due volte. Il mio pensiero va a queste vite spezzate e alle loro famiglie. Non ho una verità in tasca, ma tutto questo è inaccettabile. Provo un senso di sconfitta per l’abbandono di queste donne al loro tragico destino. Non parlo di responsabilità ma di umanità. Due morti in poche ore sono davvero troppe. Non ce lo possiamo permettere.