«Ucciso dal golpista al-Sisi». Morsi sepolto in fretta
Egitto I Fratelli musulmani chiedono un’inchiesta indipendente. Dure critiche anche da sinistra e dalle associazioni per i diritti umani che parlano di morte annunciata. E mentre il regime vieta alla moglie di presenziare ai funerali, i media egiziani oscurano la notizia del suo decesso
Egitto I Fratelli musulmani chiedono un’inchiesta indipendente. Dure critiche anche da sinistra e dalle associazioni per i diritti umani che parlano di morte annunciata. E mentre il regime vieta alla moglie di presenziare ai funerali, i media egiziani oscurano la notizia del suo decesso
È stato seppellito all’alba di ieri, dopo appena 12 ore dalla morte, Mohammed Morsi, l’ex presidente islamista egiziano eletto nel giugno 2012 e poi deposto esattamente un anno dopo da un sanguinoso colpo di stato militare.
Negata qualsiasi forma di funerale pubblico, alla cerimonia hanno potuto partecipare solo alcuni figli e gli avvocati. Neanche alla moglie è stato concesso di presenziare. Morsi è stato sepolto in un cimitero del Cairo nella zona di Madinet Nasr, presidiato da un folto schieramento di polizia e contrariamente al desiderio della famiglia che come vuole la tradizione aveva richiesto di poterlo tumulare nel villaggio di nascita, nel governatorato di Sharqiya nel Delta. Il figlio Ahmed ha riferito che la salma del padre sarebbe stata interrata accanto a quelle di altri leader di primo piano della Fratellanza Musulmana.
Intanto emergono nuovi particolari sulle circostanze del decesso, avvenuto nel pomeriggio di lunedì a seguito di un malore nel corso di un’udienza per un processo a suo carico, ma non è ancora chiaro se Morsi sia morto in tribunale o più tardi. In un comunicato diffuso poche ore dopo la notizia, il procuratore generale del Cairo afferma che la morte è stata certificata alle 16.50 ora locale, all’arrivo in ospedale, e che dopo un’autopsia il magistrato ne avrebbe disposto la sepoltura.
Secondo diversi media indipendenti, tra cui Mada Masr, che citano fonti vicine al suo team legale, prima di morire Morsi avrebbe chiesto la parola in aula, rivolgendosi per circa sei minuti alla corte.
Nei suoi ultimi minuti di vita il leader islamista avrebbe chiesto al giudice di poter parlare in una sessione a porte chiuse nella quale avrebbe voluto rivelare alcuni segreti di Stato dei quali anche il suo avvocato era all’oscuro. Di fronte al rifiuto del magistrato, l’uomo avrebbe quindi affermato di voler portare quei segreti con sé nella tomba.
Una volta conclusa la sessione – secondo il racconto del suo avvocato – Morsi è rientrato nella cella insieme ad altri prigionieri. Da lì, dopo pochi minuti sono iniziate ad arrivare le richieste di aiuto per il suo malore.
L’episodio ha suscitato un forte clamore, dentro e fuori l’Egitto, soprattutto perché – come scrivevamo ieri su questo giornale – si è trattato di una morte ampiamente annunciata dai familiari e dalle organizzazioni per i diritti umani, a causa delle pessime condizioni di detenzione che ne hanno irrimediabilmente aggravato la salute.
La Fratellanza Musulmana non ha esitato a definirlo un «omicidio a tutti gli effetti» e ha invitato la popolazione a celebrare l’ex leader in un «funerale di massa». Il movimento islamista ha dichiarato di ritenere «le autorità golpiste pienamente responsabili del martirio di Morsi», mentre dal Partito Libertà e Giustizia (espressione politica della Fratellanza) diverse voci hanno sollevato dubbi sulle circostanze della morte e sulla frettolosa sepoltura, chiedendo un’inchiesta indipendente.
Ma il cordoglio e la denuncia arrivano anche dagli storici avversari politici di Morsi e dei Fratelli, attivisti liberali e di sinistra che non hanno mai risparmiato critiche al loro governo e alla loro idea di società. Khaled Ali, avvocato per i diritti umani e suo ex sfidante alle presidenziali del 2012, ha scritto sulla sua pagina Facebook: «Per quanto si possa essere in accordo o in disaccordo politicamente con Morsi, il trattamento che ha subito sin dal suo arresto è un crimine che merita di essere perseguito e punito».
La vicenda getta luce più in generale sulle condizioni di vita inumane nelle carceri egiziane. Bahey el-Din Hassan, direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies, avverte che in molti nelle prigioni di al-Sisi vanno incontro allo stesso destino di Morsi.
Anche la scrittrice Ahdaf Soueif ricorda alcune delle vittime di negligenza medica in carcere, pratica diffusa nei confronti della maggior parte dei 60mila detenuti politici egiziani e oggetto di una lunga battaglia politica.
La notizia della morte di Morsi si è rapidamente diffusa anche nelle carceri, come riferisce Al Jazeera, scatenando lo strazio e la rabbia di molti prigionieri. Invece ieri sulle homepage dei principali quotidiani egiziani la notizia non compariva nemmeno tra i titoli principali e su alcuni era addirittura assente. Quasi tutti si sono limitati a riportare il comunicato ufficiale trasmesso dal procuratore generale.
Secondo Middle East Eye, le autorità religiose del paese avrebbero vietato le preghiere funebri in tutte le moschee. Il regime ha paura di Morsi, anche da morto.
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