L’ultima volta che la sindaca di Monfalcone Anna Maria Cisint si era indignata è stato ad aprile davanti alla sentenza con cui il Tar ha riconosciuto ai musulmani il diritto di usare, anche per i loro riti religiosi, lo spiazzo pertinente a uno stabile di proprietà del centro culturale islamico Baitus Salat. I fedeli avevano cercato riparo in quel luogo dopo il divieto della prima cittadina del comune in provincia di Gorizia a riunirsi e pregare all’interno di due diversi edifici. Secondo l’esponente leghista gli stabili non godevano della corretta destinazione d’uso. Ieri, però, il Tar le ha dato nuovamente torto, anche su questo punto. Ha infatti accolto il ricorso dei centri Baitus Salat e Daru Salaam contro l’ordinanza comunale. Così la sindaca è tornata a indignarsi e ha già promesso che ricorrerà al Consiglio di stato.

Secondo il tribunale amministrativo il comune «non ha dimostrato che il mutamento d’uso costituisca una variazione essenziale». Esulta l’avvocato Vincenzo Latorraca, che difende i due enti della comunità musulmana: «Il giudice ha ben colto il nodo centrale, in buona sostanza ha evidenziato che il comune di Monfalcone ha sbagliato nel prevedere, e dichiarare, che i luoghi di culto possano esistere soltanto ed esclusivamente in zone preventivamente e appositamente identificate e comunque non in zone residenziali».

NON ESISTE alcuna legge che suggerisca una simile affermazione. Semmai è proprio nelle zone residenziali che è ovvio prevedere servizi e attrezzature collettive. Tanto che la sentenza riporta una seconda considerazione importante: se si accettasse l’interpretazione che i luoghi di culto possono essere realizzati solo in zone predeterminate dalla pianificazione, e fosse possibile vietarli altrove, si rischierebbe un’incompatibilità con il quadro costituzionale. Le affermazioni del giudice amministrativo di Trieste sono un pronunciamento che esce dai confini monfalconesi ponendo un ostacolo nazionale sulla strada del disegno di legge proposto da Fratelli d’Italia con il quale si vuole sottoporre a una sorta di autorizzazione ministeriale l’apertura delle sedi di culto.

LA COMUNITÀ ISLAMICA è soddisfatta, ma solo in parte. «C’è anche amarezza – dice Bou Konate, punto di riferimento per i molti musulmani della città – Perché è stato un tormentone senza motivo che ha prodotto tanta cattiva pubblicità per Monfalcone». Resta comunque la soddisfazione di aver dimostrato di essere sempre stati nella legalità, di non aver mai commesso né abusi né reati, come qualcuno voleva far credere.

Prevedibilmente, però, Cisint ha fatto sapere che non ha intenzione di arretrare. Neoeletta eurodeputata in una Monfalcone dove – unica realtà regionale – la Lega è ancora il primo partito, ha già annunciato che non lascerà il lavoro sul territorio e manterrà l’ufficio in comune. Due giorni a settimana sarà comunque in paese, magari come assessora. Difficile immaginare che rinunci alla sua personale battaglia contro «l’invasione islamica». Ieri ha annunciato la volontà di impugnare la sentenza sostenendo di farlo «per garantire ai monfalconesi legalità e sicurezza».

E VIA DUNQUE con carte bollate, uffici e avvocati ancora al lavoro, mentre questi contenziosi plurimi sono già costati alle casse del comune centinaia di migliaia di euro. Se ne è accorta l’opposizione che ha tentato di aprire un dibattito sulla questione economica invitando la sindaca a provare, nel rivolgersi alla comunità islamica, la strada della mediazione. La risposta di Cisint è stata coerente con il personaggio: «Sono i centri gestiti dai sodalizi musulmani a promuovere i ricorsi contro le nostre ordinanze. Avrebbero forse voluto che non esercitassimo il legittimo diritto di difesa?».