La decisione della Cassazione su Alfredo Cospito ributta la palla nel campo della sfera politica, dove sin dall’inizio essa vagava. Molto di quello che potrebbe accadere (o non accadere) di tragico nei prossimi giorni è nelle mani e nella coscienza del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Potrà sempre in autotutela decidere di revocare il regime di cui all’articolo 41 bis, secondo comma, dell’Ordinamento Penitenziario e determinare lo spostamento di Cospito nel regime di AS1 dove ci sono i soli detenuti declassificati dal regime durissimo di 41 bis.

L’ho qualificato durissimo per distinguerlo dal regime penitenziario AS1 che è a sua volta duro. Tutto il dibattito pubblico sul 41 bis sembra spingere verso la narrazione di una vita in carcere che sia solitamente ben poco afflittiva e che giustifichi l’adozione di misure particolarmente severe in un caso come quello del detenuto anarchico.

Non è così. Affermarlo significa non conoscere la realtà penitenziaria. Dall’inizio dell’anno sono già morte venti persone nelle prigioni italiane ed è dovere morale, prima ancora che giuridico, evitare che a breve ne arrivi una ventunesima.

Nelle mani del Ministro è anche il tema più generale del regime 41 bis visto che, nei numeri (aumentati addirittura rispetto al 1992) e nelle pratiche, ha esondato rispetto alle finalità originarie e ai contenuti voluti trent’anni addietro per contrastare lo stragismo mafioso. Il regime, così come oggi funziona, è il frutto di norme e circolari del Dap che si sono stratificate negli anni, andando a modificare un impianto originario che aveva l’obiettivo di ridurre i contatti dei capimafia con il loro mondo all’esterno del carcere. Dunque è nelle mani del Guardasigilli riportare il regime 41 bis nei confini suggeriti dalle Corti interne e internazionali, dal Garante Nazionale delle persone detenute, dal Comitato Europeo per la prevenzione della tortura. In alcuni casi sarebbe necessario intervenire legislativamente, in altri con atto amministrativo.

Vediamo in cosa potrebbero consistere alcune di queste necessarie e indifferibili modifiche: restringere l’area dei reati per i quali è prevista la possibile applicazione del regime; introdurre un limite massimo di durata della misura evitando che si muoia in quelle sezioni o che si passi direttamente dal 41 bis alla libertà; prevedere l’espressa non cumulabilità del regime con altre forme di isolamento (disciplinare o diurno); non prevedere sotto-insiemi del regime ancora più rigidi del 41 bis; aumentare il numero dei colloqui e delle telefonate, affidando la funzione di prevenzione alle modalità di fruizione; assegnare, nel rispetto del principio del giudice naturale precostituito per legge, la competenza sul reclamo contro la decisione del ministro al Tribunale di Sorveglianza territorialmente competente in base al luogo di detenzione della persona reclusa e non a quello di Roma come è oggi; assicurare una socialità degna di questo nome, seppur con le adeguate attenzioni ai profili criminali; rispettare senza eccezioni le decisioni assunte dalla magistratura di sorveglianza in sede di accoglimento dei reclami presentati dai detenuti; garantire non meno di quattro ore fuori dalla cella a contatto con altre persone, comprese le due ore di permanenza all’aria.

È questo un piccolo breviario per riportare il regime dentro i confini della legalità internazionale e interna.

Cambiando tema, è sempre nel potere del Ministro ridisegnare quel codice Rocco che è la madre di molti dei problemi che affliggono il nostro sistema penale e penitenziario. Una parte dei delitti contro la personalità dello Stato presenti nel codice del 1930 è un residuo di quella cultura illiberale e fascista di cui il codice Rocco trasuda. Così come spetterà al Ministro Nordio scegliere di non costituirsi davanti alla Corte Costituzionale quando questa, speriamo a breve, dovrà decidere se abrogare un altro tassello della legge Cirielli sulla recidiva, ossia quello la cui applicazione ha determinato la pena dell’ergastolo per Cospito, pur in assenza di persone morte.

Cosa che invece il Ministro non potrà fare è trasformare in scelta etica la questione dell’alimentazione forzata. In questo caso il tema è solo ed esclusivamente legale e giuridico. La scelta di Cospito di non mangiare è nella sua sfera di auto-determinazione ed è già giuridicamente protetta.

(presidente Antigone)