Internazionale

Mini salari e licenziamenti: gli operai sfidano la Philip Morris

La protesta dei lavoratori dello stabilimento Philip Morris a SmirneLa protesta dei lavoratori dello stabilimento Philip Morris a Smirne

Turchia Puniti perché iscritti al sindacato. Ma la mobilitazione diventa globale. La multinazionale controlla il 41% del mercato del tabacco nazionale grazie all'ondata privatizzazioni degli anni 2000

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 2 novembre 2022

Più di 100 lavoratori dell’azienda Euroserve, operanti nello stabilimento del colosso del tabacco Philip Morris nel distretto di Torbali, a Smirne in Turchia, sono stati licenziati perché membri del sindacato Gida-Is.

Il licenziamento è avvenuto più di 40 giorni fa secondo l’articolo 46 del codice del lavoro che prevede reati come «furto e spionaggio dei segreti professionali». Tuttora centinaia di lavoratori sono davanti allo stabilimento per difendere i loro diritti.

LA MULTINAZIONALE Philip Morris International (Pmi) è presente in 180 paesi, controlla più del 15% del mercato globale, opera in Turchia dal 1992 e deve la sua crescita al cambiamento legislativo sulle privatizzazioni realizzato nel 2000 che le ha consegnato una buona parte della produzione nazionale, fino a quel momento nelle mani dello Stato. Oggi la Pmi possiede circa il 41% del mercato nazionale controllato da cinque aziende straniere.

La Turchia è tra i primi 15 principali produttori di tabacco al mondo. In questo mercato è molto diffuso lo sfruttamento del lavoro. Il caso della Pmi di Torbali è un esempio di questa situazione. Settecento operai su 1.900 appartengono a un’azienda che ha preso l’appalto per alcuni servizi, Euroserve. Secondo il contratto, dovrebbero svolgere mansioni leggere, ma non accade.

«1200 operai, impiegati nella produzione, con contratto aziendale prendono circa 15mila lire (820 euro, ndr) al mese, hanno l’assicurazione privata, vacanze pagate e vari bonus durante l’anno. Invece questi 700 operai prendono circa 5.500 lire, hanno contratti precari, non ricevono bonus e fanno lo stesso lavoro degli altri», racconta Ufuktan Oden, rappresentante regionale del sindacato Gida-Is.

GLI OPERAI sfruttati decidono così di iscriversi al sindacato per lottare contro l’ingiustizia. Dopo la notizia l’azienda inizia a minacciarli e in pochi giorni partono i primi licenziamenti. «In poco tempo 130 lavoratori sono rimasti senza lavoro ma noi contavamo 500 operai precari iscritti al nostro sindacato e circa 100 tra chi aveva un contratto solido con la Pmi».

Il Gida-Is, per reagire, decide di organizzare presidi, cortei e manifestazioni. La risposta dell’azienda è stata chiamare la polizia e buttare fuori gli operai: «Pochi giorni dopo la Pmi ha deciso di non far entrare nella fabbrica anche quei i lavoratori non licenziati ma iscritti al sindacato», continua Oden. La posizione dell’azienda è netta: non vuole presente il sindacato sul posto di lavoro.

Il Gida-Is decide così di avviare una campagna di solidarietà internazionale. Una raccolta firme su labourstartcampaigns.net, un presidio organizzato dal National Shop Stewards Network davanti all’ufficio centrale dell’azienda a Londra, messaggi di solidarietà dai collettivi e sindacati dei lavoratori impiegati nelle fabbriche Pmi in Corea, Canada, Germania e Svizzera. La lotta non si concluderà, sottolinea Oden, finché i lavoratori non riavranno il loro posto di lavoro.

Perché si comporta così la multinazionale del tabacco? Lo spiega Oden: «La Pmi in Germania non prende interinali e non paga a meno di 1300 euro. Invece in Turchia gli operai sono sottopagati. Il governo non si interessa di questo sfruttamento e l’azienda può assumere interinali. Infine le leggi che riguardano il diritto sindacale risalgono dell’epoca dei golpisti del 1980 e creano forti ostacoli alla sindacalizzazione tra gli operai».

LA TURCHIA, membro dell’Ilo dal 1932, del Consiglio d’Europa dal 1949, candidata per aderire dall’Ue dal 1987 e membro dell’Unione doganale europea dal 1995, tuttora è un eccellente luogo di sfruttamento per le multinazionali che approfittano di un governo indifferente e collaborazionista che non vuole impegnarsi per difendere i diritti dei suoi cittadini.

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