La guerra infuria ma l’Ucraina e i suoi partner già preparano la ricostruzione. Finisce oggi a Lugano una conferenza di due giorni che era stata convocata prima dell’aggressione russa per discutere di riforme e di lotta alla corruzione, ma che si è trasformata nel primo appuntamento internazionale per gettare le basi della ricostruzione post-bellica. La prossima riunione sarà a Londra nel 2023, la Gran Bretagna promuove l’idea di un “piano Marshall” per l’Ucraina.

A LUGANO è venuto il primo ministro ucraino, Denys Schmygal, accompagnato da sei ministri e da parlamentari e politici regionali, sono rappresentati 38 paesi (Lituania, Polonia e Repubblica ceca, che ha la presidenza della Ue, dai rispettivi primi ministri).

Sono presenti le organizzazioni internazionali ma anche il settore privato (350 imprese) e la società civile (250 organizzazioni). Non è una conferenza dei donatori, ma una riunione per stabilire «le priorità, il metodo, i principi» della ricostruzione, ha precisato il presidente svizzero, Ignazio Cassis, che ha voluto l’incontro a Lugano, sua città d’origine e terzo centro finanziario svizzero.

Volodymyr Zelensky si è collegato in video: «La ricostruzione dell’Ucraina è il contributo più importante alla pace nel mondo», ha affermato. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha parlato di «compito colossale» ma è stata ottimista, «le sfide non sono insormontabili».

Ha detto che «non potremo mai essere all’altezza del sacrificio degli ucraini che danno le loro vite, si battono per il rispetto del diritto internazionale», ma ha anche ripetuto che, al di là degli sforzi già fatti, l’Ucraina deve fare di più nella lotta contro gli oligarchi. La Ue ha accettato in tempi record la candidatura dell’Ucraina lo scorso 23 giugno, ma a Bruxelles insistono sulle condizioni, legate alla lotta alla corruzione.

L’UCRAINA ha dei bisogni immediati, non solo per la guerra ma anche per l’economia: l’Fmi ha calcolato che per il mantenimento del funzionamento dell’economia sono necessari 5 miliardi al mese, 40-50 miliardi entro fine anno.

Per la ricostruzione, che «durerà anni, addirittura decenni» secondo Cassis, le cifre sono enormi: la Kyiv School of Economics ha valutato le perdite economiche a 600 miliardi di dollari, il ministero delle finanze ucraino parla di 270 miliardi solo per i danni alle infrastrutture.

Il primo ministro Schmygal valuta i costi della ricostruzione in 750 miliardi. La Banca Mondiale calcola che il pil ucraino è crollato del 45% quest’anno. Werner Hoyer, presidente della Banca europea per gli investimenti (Bei), afferma che la ricostruzione costerà mille miliardi di euro. La Banca dei regolamenti internazionali (Bri) pensa di creare un Trust Fund per l’Ucraina dotato di 100 miliardi.

DA DOVE VERRANNO questi soldi? Ci saranno sovvenzioni dalla Ue – per ora sono già stati versati da Bruxelles 6,2 miliardi all’Ucraina – e la Commissione pensa a un piano per la piattaforma di ricostruzione sul modello del mega-prestito post-Covid del NextGenerationEu (ma ci vorrà l’approvazione degli stati membri). Ci saranno prestiti.

Una parte dei soldi potrebbe venire dalle confische degli averi russi: l’Ucraina ha chiesto alle organizzazioni internazionali di mettere a punto un meccanismo legale per confiscare i beni della Russia – pubblici, delle banche, ma anche di privati – per alimentare un fondo di riparazione ad hoc.

Il Canada ha già una legge in questo senso, la Gran Bretagna assicura che la sta preparando, la Ue afferma che potrebbero andare a questo fondo le espropriazioni di chi viola le sanzioni. Ma i beni degli oligarchi, nell’eventualità di un sequestro, non saranno sufficienti. L’arma fatale sarebbe il sequestro delle riserve russe all’estero, che ammontano a 300 miliardi di dollari.

LA RICOSTRUZIONE dovrà anche tener conto delle esigenze climatiche. Ieri a Lugano Svizzera e Ucraina hanno firmato un’intesa sul clima per rispettare gli Accordi di Parigi. Ad accogliere la riunione ci sono state anche delle manifestazioni: Greenpeace per un «futuro verde» dell’Ucraina, mentre la ong Public Eye ha denunciato l’ipocrisia della Svizzera, «porto sicuro per gli oligarchi vicino al Cremlino e hub commerciale per petrolio, grano e carbone russi».

Per Public Eye, le aziende usano la Svizzera come «centro commerciale di materie prime non regolamentato» e sfruttano la mancanza di trasparenza sulle operazioni finanziarie.