Se i primi 100 giorni di governo offrono solitamente l’occasione di tracciare un primo bilancio, quello relativo ai primi passi della presidenza Lula può essere definito positivo a metà.

IL PRIMO ATTO, e forse il più difficile, è stato anche quello più riuscito: la risposta prudente ma ferma agli atti golpisti dell’8 gennaio. Senza grandi scosse, evitando pericolosi strappi, Lula ha avviato l’auspicato processo di de-politicizzazione delle forze armate: a tre mesi da quell’offensiva anti-democratica, il governo è pronto a presentare una proposta di emendamento costituzionale (Pec) mirata a impedire ai militari in servizio attivo di partecipare alle elezioni e di assumere incarichi di governo. Cosicché, se vorranno scendere in politica, saranno prima costretti a lasciare la caserma.
Dovrà ancora aspettare, tuttavia, la cosiddetta “Pec anti-golpe”, cioè il progetto, sostenuto da un’ala del Pt ma inviso ai militari, di porre fine, attraverso la revisione dell’articolo 142 della Costituzione, alle operazioni di Garantia da Lei e da Ordem: quelle con cui viene affidato alle forze armate il compito di preservare l’ordine pubblico in caso di minaccia.

SE SUL FRONTE INTERNAZIONALE Lula ha riscattato quella politica estera indipendente e sovrana che era stato uno dei tratti distintivi dei governi del Pt, anche in campo sociale il governo non ha perso tempo. Con l’eliminazione del tetto alle spese per i servizi pubblici introdotto dal golpista Michel Temer, grazie a cui sono stati garantiti circa 200 miliardi di reais di investimenti già nel primo anno di governo, è partito speditamente il piano di ricostruzione di ciò che era stato smantellato dall’amministrazione Bolsonaro: dal programma di edilizia popolare Minha Casa Minha Vida al progetto Mais Médicos fino al celebre programma anti-povertà Bolsa Família (con aiuti finanziari di 600 reais, più un’aggiunta di 150 reais per ogni bambino con meno di 7 anni), tra molti altri.

RIGUARDO AI POPOLI INDIGENI, l’azione più incisiva è stata indubbiamente l’offensiva diretta a liberare la riserva yanomami dalla presenza dei garimpeiros, i minatori illegali, e a soccorrere adulti e bambini ridotti a scheletri. Ma ci si aspetta molto di più, sia riguardo al processo di demarcazione di aree indigene (ancora nessuna è stata annunciata) sia agli insediamenti per la riforma agraria. Scalpita, in particolare, il Movimento dei senza terra, lamentando ritardi nella ristrutturazione dell’Incra (Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária) e sollecitando il definitivo insediamento di 65mila famiglie ancora accampate.

Quanto alla lotta alla deforestazione, i cambiamenti già introdotti – come l’aumento delle multe – non si sono ancora tradotti in un miglioramento dei dati: il primo trimestre del governo Lula ha anzi registrato un aumento della deforestazione sia in Amazzonia che nel Cerrado.

È SUL DECISIVO TERRENO economico, tuttavia, che si registrano le maggiori incertezze. Prima della sua partenza per la Cina, Lula ha ritirato dieci imprese statali dal programma di privatizzazioni e ha annunciato investimenti della Petrobras sulla ricerca relativa alle energie rinnovabili. Ma sull’indirizzo economico generale, l’obiettivo di Lula di conciliare il controllo dei conti pubblici con gli investimenti in campo sociale risulta ora assai più arduo di come si presentasse negli anni dei suoi primi mandati. O, per dirla in altri termini, il patto con la classe dominante richiesto da tale compito appare assai più indigesto – e pericoloso – che allora. Tanto più di fronte all’azione di sabotaggio portata avanti dal presidente ultra liberista della Banca centrale Roberto Campos Neto, fedelissimo di Bolsonaro, impegnato a mantenere gli altissimi tassi di interesse attualmente in vigore, malgrado il loro effetto deleterio sugli investimenti.

MA LULA HA FRETTA. Sa che ogni giorno ulteriore di stagnazione economica, per di più con la stampa che ingigantisce ogni suo passo falso, erode il credito di cui ancora gode. E la sua età potrebbe non regalargli un’altra occasione per rinverdire gli antichi allori.

Di sicuro, sono passati i tempi in cui opporsi a Lula era «come mettere in discussione la legge di gravità», secondo un’espressione usata da Raúl Zibechi nel 2010: se allora la sua popolarità superava l’80%, oggi è pari alla metà. Con l’estrema destra che può contare ancora sul sostegno di un terzo della popolazione.

E se pure allora i suoi erano governi di coalizione, oggi la sua ampia ma fragile base di governo – di cui fanno parte anche forze di destra – si rivela meno permeabile alla sua leggendaria capacità di mediazione, ostacolando chiaramente le trasformazioni necessarie. Con l’ulteriore freno costituito dalla presidenza della Camera dei deputati, in mano al bolsonarista Arthur Lira.