Alla faccia del «no hay plata», Javier Milei, a Roma già da venerdì, ha preferito alloggiare nel lussuoso hotel Intercontinental Ambasciatori di via Veneto anziché nell’ambasciata di piazza dell’Esquilino, per poi concedersi una visita notturna al Colosseo. È solo oggi però che il presidente realizzerà la sua prima attività pubblica, partecipando in Vaticano alla cerimonia di canonizzazione della religiosa Maria Antonia de Paz y Figueroa, nota come “Mama Antula”. Il grande giorno sarà comunque domani, quando il presidente sarà ricevuto prima da papa Francesco e poi da Sergio Mattarella e da Giorgia Meloni, la quale ha già avuto modo di definire il presidente argentino «una personalità affascinante», ricordando di essere stata «il primo leader che ha sentito in Europa».

L’INCONTRO più atteso è quello con il papa, a cui Milei aveva rivolto durante tutta la campagna elettorale insulti pesanti, dandogli dell’«imbecille», del «comunista impresentabile» e del «rappresentante del maligno sulla terra» e accusandolo di avere «affinità con i comunisti assassini». Per poi, una volta eletto presidente, cambiare decisamente tono e invitarlo, lo scorso 11 gennaio, a recarsi in visita in quello che tra l’altro è il suo stesso paese. Una visita che Milei spera di poter annunciare proprio nel contesto dell’udienza privata di lunedì: «La sua presenza e il suo messaggio contribuiranno alla tanto desiderata unità degli argentini», evidenziava nella sua lettera di invito.

AGLI INSULTI, in ogni caso, in Vaticano nessuno aveva risposto. Ma a reagire erano stati diversi sacerdoti, organizzando nella Villa 21-24, a settembre, una messa di riparazione e leggendo una dichiarazione di appoggio a papa Francesco.
Cinque mesi dopo, è la stessa Conferenza episcopale a criticare il presidente, e proprio su un punto riguardo a cui il papa si è sempre mostrato estremamente sensibile: «Il cibo non può essere una variabile dell’aggiustamento», hanno dichiarato i vescovi, ricordando, nel loro comunicato, che in Argentina «nessuno dovrebbe soffrire la fame, perché è una terra benedetta. Tuttavia, oggi, per centinaia di migliaia di famiglie diventa sempre più difficile alimentarsi bene». Per questo, ricordando la grande «risposta comunitaria organizzata» durante la pandemia, attraverso il moltiplicarsi delle mense popolari in tutto il paese, i vescovi hanno sollecitato il governo, pur senza mai nominarlo, a fornire aiuti «senza indugio» agli spazi comunitari impegnati a offrire assistenza alimentare.

Esattamente quello che ha smesso di fare il governo Milei, con la sospensione da parte della ministra del Capitale umano Sandra Pettovello, anche lei in Italia insieme al presidente, dell’invio di cibo ai quasi 50mila “comedores populares” riconosciuti dallo Stato, proprio nel momento in cui, con l’aumento del prezzo degli alimenti e la caduta delle entrate dei settori popolari e della classe media, sono ormai circa quattro milioni le persone che vi fanno ricorso, comprese quelle con un lavoro formale ma il cui stipendio non basta più ad arrivare alla fine del mese.

«LA GENTE è affamata? Riceverò una a una le persone che hanno fame, ma non i loro referenti», aveva dichiarato la ministra il primo febbraio ai dirigenti della Unión de Trabajadores de la Economía Popular (Utep) che sollecitavano un incontro. Ed era stata presa in parola. Quattro giorni dopo, circa 10mila persone si sono messe in fila dinanzi al Ministero del Capitale umano, ciascuna con il proprio documento di identità come aveva suggerito la ministra, per richiedere assistenza alimentare. E ovviamente nessuno le ha ricevute.
E se la Cgt ha definito l’atteggiamento di Pettovello «insensibile e discriminatorio» di fronte ai reclami delle organizzazioni sociali, Juan Grabois, il leader della Utep molto vicino al papa, ha presentato contro di lei una denuncia penale per violazione dei doveri d’ufficio, accusandola di non garantire l’accesso agli alimenti «a chi vive situazioni di estrema povertà, venendo meno ai suoi obblighi come ministra con competenza diretta sul tema».

LEI, PERALTRO, proprio mentre la gente faceva la fila sotto il sole, si trovava a José C. Paz, una cittadina della provincia di Buenos Aires, per firmare un accordo di assistenza alimentare con una rete di mense vincolate a una fondazione evangelica, «affinché ricevano un aiuto diretto e senza intermediari». Perché i movimenti popolari – tanto cari al papa – non vanno bene, ma gli evangelici sì. Chissà come Milei lo spiegherà a Francesco.