Wayne Chang andava al liceo, quando una sera suo padre gli ha detto che aveva qualcosa di importante da dirgli. Quella sera, Wayne scoprì di essere il pronipote di Chiang Kai-shek. E che suo padre era il figlio illegittimo di Chiang Ching-kuo, primo erede della dinastia politica del grande sconfitto della guerra civile cinese. Un adolescente taiwanese che scopre di essere il figlio dell’uomo che ha governato per decenni Taiwan a capo del partito unico del Guomindang, imponendo una severa legge marziale. Soffocando qualsiasi tipo di opposizione.

OGGI WAYNE ha 43 anni e si chiama Chiang Wan-an. Ha da tempo cambiato il nome in onore del celebre antenato ed è la figura di punta del suo stesso partito alle elezioni locali taiwanesi in programma oggi. Chiang è il candidato del Gmd a sindaco di Taipei. Un ruolo tradizionalmente anticamera della presidenza. Tre dei 4 presidenti democraticamente eletti dal 1996 sono stati primi cittadini della capitale: Lee Teng-hui, Chen Shui-bian e Ma Ying-jeou. Solo l’attuale leader Tsai Ing-wen sfugge alla regola.

GLI ULTIMI SONDAGGI prima del silenzio elettorale davano Chiang in vantaggio in una corsa a tre. La prima contendente è Huang Shan-shan, appoggiata dal sindaco uscente Ko Wen-je, leader del terzo emergente partito Taiwan’s People Party (Tpp). Il secondo sfidante è Chen Shih-chung, ex ministro della Sanità del Partito progressista democratico (Dpp) e capo della gestione anti Covid. Ruolo che gli ha portato tanti elogi sul piano internazionale ma anche molte critiche più recenti per qualche stento nella campagna vaccinale. Chiang, un passato come avvocato corporate negli Usa, si presenta come uomo del dialogo: nato e cresciuto a Taipei, già dall’alba della sua campagna elettorale ha puntato sul rifiuto dell’approccio populista che aveva caratterizzato altre figure del suo partito. Per il cognome che porta, Chiang sa che ogni sua parola può essere passata ai raggi x. Per questo ha scelto di mantenere una linea calma ma decisa, anche sulle relazioni con Pechino. In un dibattito, rispondendo a una domanda sulla posizione su Taiwan espressa da Elon Musk, ha risposto che ha intenzione di «difendere la dignità della Repubblica di Cina», il nome con cui Taiwan è indipendente de facto.

IN CASO DI VITTORIA, c’è già chi si immagina una futura candidatura presidenziale. Il Gmd, ancora alle prese con una crisi d’identità, ha bisogno di un volto giovane e presentabile dopo la tragica esperienza della candidatura di Han Kuo-yu nel 2020. Chiang è molto attivo sui social, in campagna elettorale ha strizzato più volte l’occhio ai più giovani e persino giovanissimi, travestendosi da Goku dell’anime Dragonball. Ma forse per gennaio 2024 è ancora presto e conviene guardare altrove. Sì, perché oggi si vota per scegliere oltre 11 mila funzionari pubblici tra cui i sindaci delle 6 municipalità speciali e quelli delle contee. Il voto si concentra su questioni locali ma mai come stavolta ha un interesse più ampio. Dopo le tensioni scaturite dalla visita di Nancy Pelosi e le esercitazioni militari di Pechino sullo Stretto, Tsai ha provato a nazionalizzare il voto, usando la carta identitaria. Strategia che funzionato alle presidenziali, ma che per il “midterm taiwanese” potrebbe rivelarsi inefficace. Il Gmd ha una presa locale ancora maggiore rispetto a quella del Dpp e una sconfitta netta potrebbe rendere Tsai un’anatra zoppa, abbassando la sua influenza nella scelta dei candidati per il 2024.

DELLE SEI CITTÀ principali, quelle in bilico appaiono due: Taipei e Taoyuan. Se uno dei due principali partiti dovesse conquistare entrambe potrebbe rivendicare il successo pieno. A Taoyuan, il Dpp ha dovuto peraltro cambiare candidato in corsa dopo che il prescelto è stato accusato di aver copiato la tesi di laurea. Tainan e Kaohsiung sembrano destinate al Dpp, mentre Nuova Taipei e Taichung al Gmd. Proprio da queste ultime due città potrebbe uscire il ticket nazionalista per il 2024 coi due sindaci a caccia di conferma Hou Yu-hi e Lu Shiow-yen. Più difficile il ritorno di Terry Gou, il patron della Foxconn danneggiato dalle proteste di Zhengzhou.

DALL’ESITO DEL VOTO, le due superpotenze potrebbero cogliere insegnamenti sbagliati. Nel 2018, dopo il trionfo del Gmd, Xi Jinping mostrò i muscoli convinto che i taiwanesi avessero dato un segnale di sfiducia sulla linea intrastretto di Tsai. Fu un errore che spianò la strada alla vittoria del Dpp alle presidenziali del 2020. Più Pechino mostra i muscoli e più semplice per il Dpp virare il voto su questioni identitarie. Per il 2024 il partito di maggioranza pare destinato a candidare William Lai, vicepresidente dal passato (molto) radicale. Nome che potrebbe convincere Pechino che si è oltrepassato il punto di non ritorno dal punto di vista del dialogo politico con Taipei. Non a caso il Gmd sta provando a riaccreditarsi anche presso Washington come unica scelta possibile per riportare stabilità. «Scegliete la pace», ha scritto su Facebook l’ex presidente Ma. Non è raro sentirsi dire da elettori del Dpp che nel 2024 potrebbero considerare di votare per il Gmd, se trovasse un candidato presentabile da contrapporre a Lai. È però difficile pensare che anche con l’eventuale ritorno del Gmd le lancette possano tornare al 2015 e al vertice di Singapore. Nel frattempo, la Cina è cambiata. Forse più di Taiwan, se davvero il pronipote di Chiang dovesse diventare sindaco di Taipei.