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Meno aiuti a Kabul, e solo se fa la pace

Meno aiuti a Kabul, e solo se fa la paceIl ministro dell’economia afghano alla conferenza Onu a Ginevra – Ap

Afghanistan Conferenza dei donatori a Ginevra: 11 miliardi di euro in quattro anni, -15% rispetto al 2016. Ma ne servirebbero di più: il 72% della popolazione è povera. Intanto un attentato colpisce Bamiyan, simbolo della convivenza in un paese in guerra, 17 morti

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 25 novembre 2020

A Ginevra i donatori promettono all’Afghanistan un ultimo giro di giostra: nuovi aiuti, ma più condizionati e ridotti rispetto al passato. Intanto a Bamiyan, capoluogo dell’omonima provincia afghana e cuore della minoranza sciita degli hazara, si contano i morti: almeno 17 quelli confermati finora in un attentato che scuote una provincia finora pacifica e dietro il quale potrebbe esserci lo Stato islamico.

La conferenza ministeriale di due giorni che si è chiusa ieri a Ginevra, organizzata dai governi afghano e finlandese insieme alle Nazioni unite, serviva a tenere in piedi l’Afghanistan, la cui spesa pubblica dipende per il 75% dai donatori.

I rappresentanti delle 66 nazioni e delle 32 organizzazioni internazionali riunite a Ginevra, in presenza oppure online, hanno promesso 3,3 miliardi di dollari per i prossimi 4 anni, per un totale di 13,2 miliardi di dollari (11,1 miliardi di euro). Si tratta di circa il 15% in meno di quanto stanziato nella precedente conferenza, a Bruxelles, nel 2016. E molto meno di quanto servirebbe: alla vigilia della conferenza, il Programma di Sviluppo dell’Onu ha fatto sapere che l’Afghanistan ha bisogno del 30 % in più di aiuti, a causa del Covid.

Secondo la Banca mondiale, l’economia quest’anno subirà una contrazione tra il 5,5% e il 7,4%. Altri dati li hanno forniti i due delegati della società civile, Soraya Pakzad e Sayed Hussain Anosh: la povertà – che nel 2007 riguardava il 34% della popolazione e nel 2017 il 54,5 % – alla fine di quest’anno potrebbe riguardare il 72% della popolazione; ci sono 9,4 milioni di afghani che hanno bisogno di assistenza umanitaria (su 35 milioni totali), il 56% dei quali donne; ci si aspetta che più di 14 milioni di persone soffriranno di insicurezza alimentare nel 2020.

Mentre Filippo Grandi, Alto commissario Onu per i rifugiati, ha ricordato i 300mila nuovi sfollati interni del 2020 e le conseguenze drammatiche di un disimpegno finanziario della comunità internazionale. «Non è tempo di mollare – ha ammonito Deborah Lyons, rappresentante speciale per l’Afghanistan dell’Onu – Il momento è critico». Ma lo è anche per i Paesi donatori, che si sono mossi in ordine sparso. Molti hanno tagliato gli aiuti, qualcuno li ha confermati, qualcun altro aumentati.

L’Unione europea ha stanziato 1,2 milioni di euro per i prossimi 4 anni, la Germania 430 milioni di euro per il prossimo quadriennio, lo stesso livello del 2016. L’Italia, intervenuta con la vice ministra agli Affari Esteri, Emanuela Del Re, impegna 35 milioni di euro per il 2021. Gli Stati uniti promettono 600 milioni per il prossimo anno, 300 dei quali condizionati ai progressi nel processo di pace.

Un vincolo ribadito anche dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo: danari in cambio di pace. Nessuno lo dice, ma i soldi sono l’unica leva rimasta in mano agli Usa e alla comunità internazionale per condizionare i Talebani, che hanno incassato un accordo con gli Stati uniti, il ritiro quasi completo dei soldati stranieri, la legittimità internazionale e l’inizio del negoziato con Kabul.

I Talebani si sono affrettati a negare ogni coinvolgimento nell’attentato al mercato della cittadina di Bamiyan, da quasi venti anni simbolo di pace in un Paese afflitto dal conflitto. E molti guardano con sospetto alla «Provincia del Khorasan», la branca locale dell’Isis, già autrice di stragi settarie. Forte la preoccupazione all’interno della comunità hazara, che proprio alla vigilia della conferenza di Ginevra aveva chiesto alla comunità internazionale e al governo di Kabul maggiore ascolto, inclusione e protezione.

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