Memory, il nuovo film di Michel Franco – che torna in concorso a Venezia dopo Nuevo Ordem e Sundown – è una storia d’amore. Ma prima ancora è una sorpresa rispetto alla cifra abituale del regista messicano che qui mette da parte le caratteristiche «sopra le righe» dei film precedenti – come la volontà esibita di stupire e di colpire lo spettatore – per raccontare due anime rotte, messe al lato dalla società che pure se sembra a tutti impossibile, se non addirittura perverso, possono rinascere l’una nell’altra. È Memory un film potente, costruito sulla magnifica presenza dei suoi protagonisti, Jessica Chastain – che è arrivata al Lido con una t-shirt in supporto dello sciopero degli attori – e Peter Sarsgaard, entrambi perfettamente sincronizzati coi loro ruoli senza compiere passi falsi di isterie o di piagnistei, capaci invece di commuovere, emozionare, provocare la dolcezza dell’empatia evitando l’ammiccamento.

E questo grazie a una sceneggiatura (dello stesso Franco) che modula punti giusti di scontri e di emozioni, e a una regia capace di tenere insieme nevrosi, disorientamento, paura, bisogno. Il trauma, la perdita della malattia, la faticosa ricostruzione di sé, la fragilità di provare a superare le ferite, l’essere adulti che a volte non riguarda l’età. Sono qui le sfumature che Sylvia (Chastain) e Saul (Sarsgaard) mettono in gioco nel loro incontro con la scommessa (filmica) per l’autore di lavorare su una materia narrativamente molto complessa con la misura discreta della sensibilità senza però raffreddarne l’emozione.

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«Nuevo Orden», in Messico esplode la violenza di classeMemory come memoria: è questo il terreno su cui si specchiano – e si trovano – i protagonisti, uno la sta perdendo a causa di una demenza precoce (ha solo 52 anni), l’altra l’ha seppellita per non ascoltare ciò che racchiude, una ferita violenta che sfugge però all’oblio cercando altre strade per affermarsi nel disordine della sua esistenza: il terrore del maschile, l’alcolismo, i difficili rapporti con la sorella, l’odio per la madre, quel costante senso di pericolo che l’accompagna con cui soffoca anche l’adolescenza dell’amatissima figlia, ragazza capace con la sua giovane età di guardare il mondo negli occhi senza troppo spavento.

SYLVIA e Saul si incrociano le loro esistenze per caso: una festa spaventosa di ex-compagni del liceo, Sylvia è seduta, Saul prova a sedersi accanto a lei, la segue fuori quando lei fugge poi in metropolitana e fin sotto casa. Lei è nel panico, lo scopre al mattino che è malato, quando lo vengono a riprendere, però poi lo accusa di averla molestata e bullizzata quando era bambina a scuola, lui non ricorda e si interroga a lungo. Forse anche la memoria di Sylvia confonde dei dettagli, li lascia uscire da quel suo disagio, dal dolore inespresso di un silenzio.

QUESTO continuo campo/contro-campo tra stati d’animo taciuti e desideri che sembrano irrealizzabili disegna la cartografia del film. Il sentimento che pian piano cresce fra i due personaggi interroga al tempo stesso il mondo, i legami famigliari e le fratture che vi si producono, le relazioni tra figli e genitori, e la violenza che si portano dentro, anche nelle buone intenzioni di chi come il fratello di Saul confonde la cura con il controllo e l’umiliazione della malattia negando all’uomo ogni libertà. Cosa significa curare e cosa essere malati? Loro lo sono eppure proprio in quel fragile equilibrio che li caratterizza sembrano trovare per il fatto di sostenersi e essere insieme una nuova forza, e una imprevista felicità.

Saul per ricordare di Sylvia scrive tutto su un piccolo quaderno e ascolta sempre lo stesso pezzo musicale, i Procul Harum, A Whiter Shade of Pale, ha bisogno di fissare le cose, ricorda dettagli lontani ma non ciò che è vicino, non riesce a guardare un film, al collo porta il numero di chi chiamare quando si perde. Perché ha seguito Sylvia? Un’intuizione su una stessa solitudine? I capelli rossi come quelli della moglie che non c’è più? La loro conoscenza porta in superficie i frammenti del passato, la memoria breve di saul diviene quella lunga di Stìylvia per lei significa finalmente affrontare i rimossi, dare una parola a qualcosa che non si può nominare, rompere il silenzio affermare la sua esperienza come qualcosa che deve essere riconosciuta e non sepolta nella menzogna.

Franco mantiene una leggerezza di toni, nonostante quanto avviene scrive un melò romantico con un umorismo delicato specie nel personaggio di Saul. E ci dice anche che a salvare gli adulti saranno le nuove generazioni come la figlia della protagonista, capaci forse per lo slancio dell’età di accettare i margini e di respingere le bugie, provocando in queste memorie oscillanti un futuro.