Meloni-Salvini, mesto finale tra abbracci tirati e inchieste
Destra nei guai A Spinaceto la leader di Fdi travolta dal caso-Fidanza. Il capogruppo di Fdi a Bruxelles si autosospende
Destra nei guai A Spinaceto la leader di Fdi travolta dal caso-Fidanza. Il capogruppo di Fdi a Bruxelles si autosospende
Doveva essere la giornata del rilancio del centrodestra, dei baci e abbracci esibiti davanti alle telecamere dopo gli sgarbi di giovedì a Milano tra Giorgia e Matteo (lei tardava, lui se n’è andato). Della volata finale da tirare all’inconsistente candidato romano Enrico Michetti.
E INVECE NO. Il set allestito in tutta fretta nella piazzetta di Spinaceto, quartiere fuori dal raccordo di Roma reso celebre da Nanni Moretti in Caro Diario (Spinaceto? Pensavo peggio») si trasforma nell’ennesimo boomerang per la coppia Salvini Meloni. Se lui per tutta la conferenza stampa si era lamentato dell’assedio dei media che «inventano divisioni a destra che non esistono nella vita vera» e che «guardano in camera da letto dal buco della serratura» (il caso sesso e droga del suo fedelissimo Morisi) a Meloni va addirittura peggio.
E finisce inseguita da telecamere e cronisti che le chiedono a raffica dell’inchiesta choc di Fanpage, che mostra il suo capo delegazione all’europarlamento Carlo Fidanza che si crogiola a Milano tra fascisti, nostalgici di Hitler, saluti romani, insulti antisemiti e proposte indecenti di finanziamenti elettorali in nero.
UN’INCHIESTA ANDATA in onda giovedì sera a Piazzapulita e deflagrata ieri sul teatrino allestito a Spinaceto. Con Meloni costretta a rifugiarsi in un bar, dopo aver balbettato: «Voglio vedere le 100 ore di girato, non prendo questo video per oro colato, Fidanza lo conosco da vent’anni, in ogni caso non c’è spazio in Fdi per antisemiti, razzisti o paranazismo da operetta». Nel frattempo una signora arringa: «Giorgia, devi parlare con noi, qui non funziona niente, basta coi giornalisti!»,
E pensare che ce l’avevamo messa tutta per chiudere se non in bellezza almeno in ordine, almeno a Roma. Arrivati puntuali, lui che abbraccia lei e pubblica il selfie («Tra noi c’è affetto politico, governeremo insieme, si rassegnino»), lei che dice «oggi non ci sono aerei a dividerci», lui a Tajani: «Ora facciamo una cosa a due, poi ti coinvolgiamo».
Sorrisi, e parole all’orecchio mentre Michetti scrive il suo epitaffio: «Voi non sapete nulla di me». Detto alla viglia del voto da uno che dovrebbe farsi votare da centinaia di migliaia di romani non è male. Parla di sé in terza persona: «Michetti ha gestito miliardi di euro, ha lavorato con centinaia di sindaci e mai una virgola fuori posto».
Poi il colpo ad effetto, alza le mani: «Le mie mani sono pulite». E ancora: «Faremo in modo che il mondo conosca Roma». La Capitale deve tornare come negli anni Cinquanta, quando era un sogno per calabresi, campani, abruzzesi che qui venivano cercando un impiego e lo trovavano».
MELONI SI LANCIA IN UNA excusatio paradossale: «Michetti l’hanno dipinto come una macchietta, lui ha tenuto la barra dritta, concentrato, sereno». E ancora: «La sinistra vive nei salotti del centro, e tratta la gente delle periferie come carne da macello».
«Bello chiudere insieme, questa è la squadra che vincerà le elezioni politiche», si lascia andare Salvini, prima di lanciarsi contro Raggi e Zingaretti che «hanno già fatto gli accordi sottobanco». «Mi rifiuto di pensare ad altri cinque anni di incapacità targatata Pd-5 stelle».
Mentre parla spunta alle sue spalle Vittorio Sgarbi. «Qui finisce tutto in un casino», sibila il leghista prima di chiedere un applauso (ma di gente ce n’è pochissima, solo giornalisti) per «il prossimo assessore alla cultura di Roma». Se Salvini si era appena compiaciuto della condanna di Mimmo Lucano) , Sgarbi lo gela: «Riace con Lucano era rinata, io da sindaco a Sutri gli avevo dato anche la cittadinanza onoraria». «Sono io il papà di Michetti», chiude lo storico dell’arte, con visibile sollievo degli altri.
Compreso Antonio Tajani, l’ex monarchico che spiega «non ci interessa andare dai radical chic del centro». Il più brillante è l’Udc Lorenzo Cesa che si rivolge a Meloni-Salvini chiamandoli «i due boyscout». «Ragazzi, il centrodestra è una roba seria».
IL RITO SI CHIUDE nel sollievo generale, Tajani ha già scordato l’afflato periferico «(Annamosene va’»), nella piazzetta non c’è manco una foto del candidato, lui resta serafico: «I leader? Mi hanno sempre protetto, così ho potuto fare una campagna sui programmi, procedimentale». Il lessico avvocatese lo tradisce. Avversari? «No, ci sono dei colleghi che hanno legittime ambizioni…».
Meloni stremata si infila su una 500, il caso Fidanza è appena esploso, richieste di dimissioni da Pd e M5S. Lui si autosospende dal partito «per preservare Fdi da attacchi strumentali». «Non basta, c’è bisogno di molto di più», attacca Letta.
LA PROCURA DI MILANO apre un’inchiesta con le ipotesi di finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio dopo un esposto dei verdi. Finanza si difende: «Mai ricevuti finanziamenti irregolari, mai avuto alcun atteggiamento estremista, razzista o antisemita».
La presidente della comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello è durissima: «Non può esserci spazio nei partiti dell’arco costituzionale per chi fa il saluto romano, inneggia a Hitler e insulta neri e ebrei». Per la coppia sovranista torna utile Moretti: «Continuiamo così, facciamoci del male…».
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