Tra gli ulivi e le suite a 5 stelle di Borgo Egnazia, tra il panem (con pomodoro) dello chef Bottura e i circenses affidati alla voce di Andrea Bocelli, Giorgia Meloni ha fatto anche molta politica. Non solo con le decine di photo opportunity e strette di mano con i leader di decine di paesi fuori dal G7 (dal Papa a Lula, da Milei a Erdogan a Modi) che lei ha voluto invitare in Puglia. Ma nelle due direzioni che la contraddistinguono: asse ferreo con Biden sul sostegno all’Ucraina (con annesse critiche al sostegno cinese a Mosca) e conservatorismo spinto sui diritti civili.

IL COMUNICATO FINALE firmato ieri dai 7 Grandi segna una vittoria della premier italiana: la parola «aborto» non compare nel testo, mentre c’era in quello del precedente G7 di Hiroshima. Gli sherpa italiani l’hanno spuntata, dopo una lunga notte di discussioni, col risultato che nel documento ci si limita a richiamare gli impegni del vertice del 2023, e cioè l’«accesso universale ad adeguati e fruibili servizi sanitari per le donne, inclusa la salute sessuale e riproduttiva». L’anno scorso, con la presidenza giapponese, si parlava di «accesso all’aborto legale e sicuro e alle cure post-aborto».

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Francesi e canadesi avrebbero voluto fare un passo avanti rispetto a un anno fa, col sostegno di Biden. E invece l’Italia ha posto il veto, impedendo ogni miglioria e ottenendo che sparisse la stessa parola «aborto». Secondo la ricostruzione di fonti italiane, alle 3 del mattino di martedì scorso si sarebbe deciso all’unanimità di adeguarsi alla proposta di Roma, complice anche un bicchiere di vino ordinato dai padroni di casa per fiaccare le resistenze straniero. L’Italia era pronta a prolungare il negoziato a oltranza per inserire nel testo i temi cari ai pro-vita. A quel punto le altre delegazioni hanno rinunciato, e la minaccia di veto degli Usa (che si erano detti pronti a non firmare il testo finale) si è sciolta come neve al sole.

PALPABILE L’IMBARAZZO di Biden ieri, dopo il bilaterale con Meloni. Il presidente Usa non ha risposto alla domanda dei giornalisti sull’aborto. Più tardi fonti della Casa Bianca si sono limitate a riferire che «il comunicato finale sarà approvato col consenso di tutti i Sette». Resa totale. La reazione di Macron era andata in scena giovedì sera, al campo da golf accanto al resort. Si era detto «dispiaciuto» per il passo indietro sull’aborto, ricordando le «diverse sensibilità» sul tema col governo italiano. Frasi che poi Meloni gli ha rinfacciato con durezza inusitata: «Non si fa campagna elettorale in un vertice internazionale».

Nessuna «panna montata», dunque o «strumentalizzazione elettorale» tesi sostenuta dagli sherpa italiani per puntare il dito con Parigi. Né vale la spiegazione che «sarebbe stato troppo prolisso richiamare tutti gli impegni di Hiroshima». Bastavano quattro parole: «accesso all’aborto legale e sicuro», ma Meloni e soci hanno voluto e ottenuto lo scalpo ideologico. Ieri sera Macron ha cercato di chiudere l’incidente: «Ho posto la questione in maniera sincera, ma i disaccordi non vanno amplificati, io e Meloni non siamo avversari».

LA PREMIER NON SI È FERMATA qui. Ha ottenuto un altro passo indietro anche sui diritti lgbt. Il testo pugliese si limita ad esprimere «forte preoccupazione per la riduzione dei diritti delle donne e delle persone lgbtqia+ in tutto il mondo, in particolare in tempi di crisi» e a «condannare fermamente tutte le violazioni e gli abusi dei loro diritti umani e delle libertà fondamentali». Citato anche l’impegno «per raggiungere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne in tutta la loro diversità, attraverso una partecipazione piena, equa e significativa in tutte le sfere della società». Il minimo sindacale per un vertice delle prime democrazie mondiali.

A HIROSHIMA I TONI del comunicato erano stati significativamente diversi. Si citava l’impegno a «raddoppiare gli sforzi per superare le barriere strutturali di lunga data e ad affrontare le norme, gli stereotipi, i ruoli e le pratiche di genere dannose attraverso mezzi come l’istruzione e a realizzare una società in cui la diversità, i diritti umani e la dignità siano rispettati, promossi e protetti e in cui tutte le persone possano godere di una vita piena e libera dalla violenza e dalla discriminazione, indipendentemente dall’identità o dall’espressione di genere o dall’orientamento sessuale». Un altro pianeta. .

MELONI HA TENUTO a ribadire invece i riferimenti all’empowerment femminile e l’auspicio che le donne assumano ruoli guida in tutti i settori della società e nelle imprese, così come gli impegni legati al contrasto della violenza di genere, al bilanciamento delle cure parentali tra uomini e donne e alla necessità di investire sugli asili nido per favorire l’occupazione femminile.

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Stupisce che, di fronte a una vittoria così piena in direzione di un arretramento reazionario su temi cari alle destre mondiali, il governo italiano abbia sentito la necessità di smentire. Prima con l’aborto, e ieri con i diritti lgbt, quando Bloomberg ha anticipato la bozza del comunicato parlando di «significativa attenuazione» del riferimento ai diritti lgbt.

«Notizia priva di ogni fondamento», hanno tuonato le fonti italiane, smentendo che fosse stato tolto «ogni riferimento ai diritti delle persone lgbt». Bloomberg invece aveva correttamente riferito lo sbianchettamento dei riferimenti all’«identità di genere» e all’ «orientamento sessuale. «È l’ennesimo schiaffo dopo non aver votato la dichiarazione lgbt in Europa e dopo aver tentato in tutti i modi di ostacolare le famiglie arcobaleno», attacca il portavoce di Roma Pride, Mario Colamarino. «Spero che gli altri paesi si facciano sentire». Dura anche la neo-eurodeputata Pd Cecilia Strada: «Siamo arrabbiati ma non sorpresi perché questo è un governo che i diritti li toglie».