Prima viene l’Ucraina. Come aveva già dimostrato il posto speciale riservato al presidente Zelensky all’interno di questo G7, il bilaterale fra lui e Joe Biden e il focus del vertice sull’aggressione russa, al primo punto della dichiarazione finale dei sette leader c’è Kiev. «Riaffermiamo il nostro incrollabile supporto all’Ucraina per quanto tempo ci vorrà». D’altronde, l’Ucraina è l’unico punto del documento di facciata sul quale i sette, e soprattutto l’ospite Giorgia Meloni, hanno dei risultati concreti da esibire al mondo: i 50 miliardi di prestito coperti dagli interessi sui fondi sovrani russi congelati – soprannominato Era: Extraordinary Revenue Acceleration Loans for Ukraine – e l’accordo bilaterale di durata decennale con gli Stati uniti. Parallela e complementare la condanna della «brutale e ingiustificabile guerra d’aggressione» russa, e del suo «irresponsabile» appello alla retorica nucleare.

MENTRE LA SITUAZIONE sul campo in Ucraina è sempre più drammatica, il documento dei sette accoglie le parole d’ordine che abbiamo ritrovato spesso nei loro discorsi di questi giorni – le quali tradiscono più che dissipare una grave preoccupazione di fondo per l’andamento del conflitto: non è vero che il tempo gioca a favore di Mosca, si legge, «che distruggere vite e infrastrutture non abbia conseguenze», o che «la Russia possa prevalere portando l’Ucraina al default economico».

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Le minacce non troppo velate alla Cina, che fornisce tecnologie a Mosca impiegate per costruire armi, fa da corredo non solo al lungo capitolo su Kiev, ma anche a tutto quello sull’Indo Pacifico, dove nel diplomatico linguaggio di queste occasioni Pechino viene inquadrata come la fonte dell’instabilità in tutta la Regione, da Taiwan alle Filippine e la Corea del Nord – con l’eccezione del la giunta militare del Myanmar che si conquista un biasimo tutto suo. Di certo non poteva essere nel documento la persecuzione dei musulmani ad opera del governo indiano appena rieletto, guidato da Narendra Modi, nel giorno in cui il primo ministro indiano ha raggiunto Borgo Egnazia (e tenuto in serata un bilaterale con Meloni) insieme agli altri leader del cosiddetto outreach – da giorni strombazzato come la prova che il G7 non è un club privé destinato solo ai ricchi e prevalentemente bianchi – fra cui il turco Erdogan, l’argentino Javier Milei, il brasiliano Lula.

SUL PODIO del comunicato, al secondo posto, Gaza. Ma dopo la doverosa condanna del massacro di Hamas le parole usate in difesa dei civili della Striscia, oltre che dei Territori occupati, sono perfino più miti di quelle pronunciate in più occasioni dal presidente degli Stati uniti per cercare di arginare l’avanzata assassina e senza scrupoli di Benyamin Netanyahu all’interno di una Gaza di cui non resta quasi nulla. «Sosteniamo e supportiamo l’accordo dettagliato dal presidente Biden – si legge – che condurrebbe a un immediato cessate il fuoco a Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi, un significativo e continuativo aumento nell’accesso di tutta la Striscia agli aiuti umanitari, una fine duratura della crisi, che assicura la sicurezza di Israele e quella dei civili palestinesi a Gaza».

La panacea di tutti i mali. «Siamo profondamente preoccupati – si struggono i sette mentre l’offensiva è già iniziata da settimane – delle conseguenze per la popolazione civile delle operazioni di terra a Rafah, e della possibilità che un’offensiva militare su vasta scala abbia ulteriori gravi conseguenze per i civili». Nota di demerito anche per la violenza dei coloni, e appello di rito alla soluzione a due stati. Oltre a qualche postilla sul timore per l’allargamento del conflitto, dal golfo di Aden pattugliato dagli Houthi al Libano e l’Iran: Teheran «deve cessare le sue azioni destabilizzanti».

Al terzo posto Meloni riesce a collocare la sua creatura, il piano Mattei per l’Africa, alla voce «Promozione delle partnership con i paesi africani»: «Rinforzeremo le collaborazioni mutualmente benefiche e la cooperazione paritaria con i paesi africani e le organizzazioni regionali». In questa prospettiva, «accogliamo positivamente il piano Mattei per l’Africa lanciato dall’Italia». La contropartita, e controcanto, si trova diverse pagine più avanti, alla voce «Migrazione».

I LEADER del G7 ripropongono la ricetta in tre punti di sempre: risolvere nientemeno che le cause delle migrazioni, un rinforzamento del «management» dei confini, «percorsi sicuri e regolari per le migrazioni». Laddove il pilastro della politica traspare chiaro dall’affermazione per cui «intensificheremo gli sforzi per prevenire e affrontare l’immigrazione irregolare, contrastare le attività illegali che la facilitano, e affrontare le sfide che pongono agli individui e alle società. Affermiamo il diritto sovrano degli stati – altra conquista di Meloni, mentre Biden è reduce della vergogna per l’ordine esecutivo che sigilla il confine meridionale degli Stati uniti gettando alle ortiche fiumi di promesse – di controllare i propri confini, così come la loro prerogativa di governare le migrazioni all’interno della propria giurisdizione». La presidente italiana ha vinto su tutti i fronti.