Ci sono almeno due persone che ieri hanno apprezzato incondizionatamente la conferenza stampa di Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti sul quarto decreto Aiuti, approvato la sera prima, almeno nel passaggio Superbonus: Mario Draghi e Daniele Franco. Fosse stato per loro la misura voluta e imposta dal M5S sarebbe stata cancellata già nella manovra del 2021. Ci avevano anche provato, ma con il Movimento in maggioranza la missione si era rivelata proibitiva. Le cifre snocciolate dai loro successori provano che avevano ragione. Costi proibitivi, 60 miliardi. Sforamento della spesa prevista da Guinness dei primati: 38 miliardi circa. Anche l’analisi della nuova premier è identica a quella che confessavano a porte chiuse i suoi predecessori: «Nasceva meritoriamente ma è stata realizzata in un modo che ha creato molti problemi: con un simile buco il concetto di gratuità è bizzarro».

Il limite, per la premier, è che la copertura al 110% deresponsabilizzava i fruitori che non si chiedevano più se il prezzo «era congruo», a tutto vantaggio delle fasce medio alte. L’abbassamento dal 110 al 90%, salvo chi avendo già deciso l’intervento è in grado di certificare entro il 25 novembre l’inizio dei lavori, e la proroga per le abitazioni unifamiliari usate come prima casa, se sotto i 15mila euro Isee modulabili a seconda del quoziente familiare, dovrebbe riequilibrare a favore delle fasce basse. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è anche più drastico quando affronta il nodo quasi scorsoio della cessione dei crediti: «Cercheremo di intervenire ma deve essere chiaro che la cessione del credito è una possibilità non un diritto».

Il problema è che la sforbiciata, che probabilmente non sarà neppure l’ultima, interviene su situazioni spesso già avviate. Giuseppe Conte ha così gioco facile nel gridare che «è stato rotto il patto con famiglie e imprese» ma anche Forza Italia presenta con la velocità della luce un emendamento dei due capigruppo Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo che chiede di prolungare di un mese il termine del 25 novembre. Ma Fi mira anche a sbloccare con provvedimento governativo i crediti fiscali: date le premesse non è facile che Giorgetti si pieghi.

La mazzata contro il superbonus è uno dei pochi pilastri del decreto da 9,1 miliardi, che per il resto procede sulle orme dei dl Aiuti di Draghi rifinanziandoli. La seconda innovazione è la rateizzazione delle bollette per le imprese alla quale potrebbe seguire, con la legge di bilancio o nella conversione, la stessa misura anche per i privati, in 40 rate. La defiscalizzazione dei fringe benefits da 600 a 3mila euro dovrebbe equivalere, per la presidente, a «un’altra tredicesima da usare per le bollette». Nel palazzo nessuno obietta. Fuori invece sì, perché Confindustria ritene che così si carichi sulle aziende la responsabilità di fronteggiare i rincari. L’innalzamento del tetto del contante a 5mila euro, spiega Giorgia Meloni, «è stato calibrato sulla media europea. La Commissione chiede di portarlo a 10mila euro, il Parlamento a 5mila che è anche la media Ue».

L’ultima voce è in realtà la prima per importanza: lo sblocco delle concessioni per le trivellazioni in mare, dai 9 ai 12 km dalla costa. Per il ministro Adolfo Urso è questa scelta che fa la differenza rispetto ai dl Draghi, che si limitavano a calmierare gli effetti della crisi energetica senza risolverla. Con le trivellazioni libere, promette, la dipendenza dal gas estero sarà drasticamente ridimensionata. Sono fandonie, ribattono le associazioni ambientaliste sul piede di guerra. Prima di tutto perché ci vuole tempo perché le trivellazioni portino a esiti concreti, a differenza delle rinnovabili. Ma soprattutto perché, anche se sfruttati al 100%, i giacimenti marini coprirebbero il fabbisogno solo per qualche mese. Qualche dissenso pesante c’è anche nella maggioranza: la Lega è decisa a garantire che di trivelle, di fronte al Polesine, non se ne vedranno. Sul tema il governatore del Veneto Luca Zaia è tassativo.