Economia

Meloni, angelo custode delle imprese

Meloni, angelo custode delle impreseGiorgia Meloni all’assemblea annuale di Confindustria – LaPresse

Pro-business Sintonie con Confindustria sul nucleare, contro Green Deal e salario minimo: «Camminiamo mano nella mano». Landini: «Ci mobiliteremo

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 19 settembre 2024

Mano nella mano cammineranno sulla strada che porterà la «Nazione» a farsi rincorrere dal mondo, lasciando a bocca aperta i concorrenti. È in questo mondo delle meraviglie della competizione condita in salsa nazionalista che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha invitato a viaggiare il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ieri nel suo intervento all’assemblea annuale dell’associazione dei padroni italiani.

MELONI HA VESTITO gli eleganti panni dell’angelo bianco che porta la buona novella a una platea desiderosa di distogliere i pensieri da diciotto mesi di calo della produzione industriale, uno dei record negativi più impressionanti raggiunti da un sistema industriale dai tempi di Garibaldi. Giusto per citare una delle metafore di Meloni quando toglie il piede dalla frizione e inceppa il motore per l’eccessiva concentrazione di enfasi.

COSÌ MELONI ha inteso l’autonomia differenziata che ha rivendicato appieno con gli argomenti psichedelici: non crea un divario tra Sud e Nord perché «con noi nel 2023 il Pil del Mezzogiorno è aumentato in misura maggiore rispetto al resto d’Italia». In realtà, non è solo merito del governo attuale, ma anche di quello precedente a guida Draghi. Comunque sia, per Meloni il problema dell’autonomia differenziata è la creazione «di un divario tra le classi dirigenti responsabili e quelle che responsabili non sono state». Uno dei modi, pessimi, per giustificare la secessione dei ricchi che danneggerà le popolazioni in carne ed ossa e negherà servizi e risorse. Tagliando le gambe alla crescita del Sud.

IL DISCORSO È SERVITO a Meloni a indicare chiaramente i suoi interlocutori in Confindustria agli stanchi giri di tavolo che partiranno mercoledì 25 settembre a palazzo Chigi con le «parti sociali». Si parlerà del piano strutturale di bilancio, primo passo della manovra, rimandato a dopo la pubblicazione sui conti annuali da parte dell’Istat prevista lunedì 23. In quella sede Meloni confermerà il taglio del cuneo fiscale. Ieri ha annunciato che proseguirà la stagione dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego. Ma ha precisato che le risorse sono poche. E non ha parlato di tagli e privatizzazioni in arrivo.

PRESENTE NEL PARTERRE dove ieri sedeva il bel mondo dei ricchi e degli influenti, oltre a mezzo governo e capi di imprese e banche, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha intuito che mercoledì il governo comunicherà le sue decisioni e non ci sarà discussione sull’impianto della manovra e delle «riforme» chieste dall’Unione Europea: «Non siamo disponibili a fare da spettatori a un’intesa con Confindustria, né a fare i bancomat – ha detto – Meloni spiega che dobbiamo cambiare le politiche europee e poi rivendica l’autonomia differenziata. O pensa che siamo tutti coglioni o ci sta raccontando balle; o la dimensione è europea o è regionale, le due cose non stanno insieme. Se vogliono fare riforme senza i lavoratori, auguri. Ci mobiliteremo».

L’INTESA tra Meloni e Confindustria si basa sul rifiuto del salario minimo, sulla critica del Green Deal che danneggia l’industria dell’auto, sul nucleare, sulla richiesta alla Banca Centrale Europea di tagliare i tassi di interesse. Inoltre Meloni si è trovata d’accordo con gli industriali anche sull’idea generica di «aumentare la produttività del lavoro» che in Italia è un problema. Tuttavia tale indicatore è composito. Contiene una parte di lavoro, una di capitale e una tecnologica. Quando si vuole rilanciare tale «produttività» quale parte si intende?
Orsini ha le idee chiare a tale proposito: ha chiesto di introdurre l’aliquota premiale sull’Ires per gli utili reinvestiti; di abolire l’Irap per le società di capitali e non sostituirla con una sovraliquota Ires; di ripristinare l’Ace a sostegno della patrimonializzazione delle imprese.

MELONI sembra essere, almeno a parole, consonante con questo approccio pro-imprese. Ieri però non ha parlato di misure concrete. In compenso ha snocciolato il suo credo neoliberale. Per lei lo Stato crea l’«ambiente più favorevole possibile», «la strategia per la nazione», «non disturba chi fa, ma gli cammina accanto come un alleato». Questa impostazione ha portato all’eliminazione del sussidio impropriamente chiamato «reddito di cittadinanza» per più di mezzo milione di famiglie e a dare i soldi risparmiati alle imprese sotto forma di incentivi. Meloni l’ha rivendicato: «Abbiamo detto dei “no” quando andavano detti, perché i soldi dei cittadini non si gettano dalla finestra». Dallo Stato che cammina «mano nella mano» con le imprese allo Stato che punisce i poveri, il passo è breve.

DA PARTE SUA, il presidente di Confindustria Orsini ha chiesto al governo di rendere permanente il taglio del cuneo fiscale che anche quest’anno costerà 10 miliardi e serve a tenere in piedi con una mancia salari che restano bassi. Ma soprattutto ha chiesto a Meloni qualcosa che, al momento, non può assicurare: investimenti e incentivi alle imprese dopo la fine del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ai sindacati ha offerto un confronto sulla sicurezza del lavoro, sulle retribuzioni, sul contrasto ai contratti siglati da soggetti senza rappresentanza. Da Landini, a Bombardieri della Uil e Sbarra della Cisl c’è stata un’apertura al confronto.

Da qui a prospettare il vecchio sogno della concertazione centralizzata, e di un patto a tre (governo, sindacati, imprese), ce ne corre. Di mezzo c’è la politica. E un conflitto che da anni non riesce a dispiegarsi.

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