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Meloni al rush finale spinge su provvedimenti lampo

Giorgia Meloni da Bruno VespaGiorgia Meloni da Bruno Vespa – Ansa

Verso il voto Per Fratelli d'Italia scendere sotto il 26% alle europee sarebbe un disastro. Le premier da Vespa sulla Bossi - Fini: «Il principio va tenuto. Le norme aggiornate a un sistema diverso»

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 7 giugno 2024

«Ogni croce messa sul simbolo di FdI la utilizzerò per portare a casa dei risultati». Il gran finale della premier è a casa Vespa, Porta a Porta, territorio amico. Non basterà a consolare il conduttore per il faccia a faccia con Elly svanito quando già lo pregustava e l’ospite rigira il coltello nella ferita: «Sta un po’ impazzendo con ’sta par condicio». A lei, comunque, nessuno potrà rinfacciare il non aver fatto una campagna elettorale strenua, degna del maestro Silvio quanto a onnipresenza se non quanto a capacità di seduzione.

CHISSÀ, FORSE ALL’INIZIO la premier credeva davvero a quel che raccontava, che la sua propaganda elettorale si sarebbe limitata a piazzare il nome in testa alle liste e per il resto l’avrebbero dovuta fare per suo conto i Fratelli di partito, essendo «detta Giorgia» troppo impegnata a governare. È improbabile ma possibile. Poi i sondaggi e prima ancora il fiuto politico l’hanno convinta a cambiare marcia in corsa. Si è impegnata a fondo, un’intervista al giorno. Una legge-spot al giorno o quasi nell’ultima settimana. Non bisogna fingersi più ingenui di quanto è lecito: i bastioni del governo per farsi propaganda alla viglia del voto li hanno usati sempre tutti. Con misura però. Una sovrapposizione di ruoli tanto smodata e vorace non s’era mai vista, neppure con Renzi. Quel che ha perso in comizi di piazza, poi, Giorgia lo ha recuperato con interessi da usura occupando a distesa l’etere, i social, la carta stampata.

PERCHÉ IN QUESTE ELEZIONI la premier si gioca parecchio e lo sa. Ha raccontato che confermare il risultato del 2022 le basterebbe e in politica bugie del tipo vanno perdonate comunque. Ma sempre di bugie si tratta. Certo, sotto quell’asticella la nocchiera sentirebbe odor di disastro e, peggio, nemici e amici annuserebbero il sangue con tutto quel che puntualmente ne consegue in politica. Ma galleggiare a quota 26% dopo un anno e mezzo di governo, con risultati macroeconomici non esaltanti ma neppure sconfortanti e soprattutto dopo essersi messa in gioco di persona significherebbe che la locomotiva lanciata a tutta «gallara» due anni fa adesso stenta come un qualsiasi accelerato e nemmeno il sismografo più sensibile è più attento dei partiti, quelli rivali e ancor di più quelli alleati, a questo tipo di segnali.

COME IMMAGINE l’underdog per eccellenza si è scelta quella della popolana: «una di noi», dal basso e avanti a spallate però «senza montarsi la testa». Il copione le ha permesso di mettere a segno un bel colpo gelando il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca e c’erano riusciti in pochi. Ma le è costato anche uno svarione quasi imperdonabile, quella sceneggiata contro Riccardo Magi nella pubblica piazza di Tirana nella quale le è sfuggita una frase da mordersi la lingua. A Chigi, se gli si ricorda quel «Seeee.. Poveri cristi!» riferito a migranti in fuga da guerra e miseria e destinati alla reclusione, non ce la fanno a nascondere la costernazione. Tosta va bene. Senza cuore un po’ meno.

IL PROBLEMA, quando si martella ogni santo giorno, è che inventarsi qualcosa di non già detto un centinaio di volte è impossibile. Per questo Silvio il Maestro, dal quale l’allieva ha ancora moltissimo da imparare, si teneva sempre una sorpresa per l’ultimo scorcio di campagna elettorale. La premier ha sostituito quella tattica con provvedimenti lampo, sfornati un attimo prima del voto. Quello sulle liste d’attesa soprattutto, che difende a spada tratta con un Vespa che finge di incalzarla e fa da spalla: «Dico solo che c’è un governo che si è occupato di questa materia e non mi pare che sia stato fatto in passato».

L’IMMIGRAZIONE, con la conferma della Bossi-Fini travestita da promessa di cambiarla: «Il principio della legge va mantenuto. Però le norme vanno quanto meno aggiornate a un sistema diverso». Se non sarà zuppa…la conferma che se perderà il referendum non lascerà il posto. In un solo caso la premier fa centro, quando parla della procedura d’infrazione europea perché l’assegno unico deve andare anche agli stranieri con i figli in patria: «Non è sostenibile: 6 milioni di famiglie rischiano di perdere l’assegno unico se la Commissione non diventa ragionevole». Sono cose che una certa presa anche elettorale la fanno.

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