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Megan Abbott, torsioni innaturali, il prezzo della grazia

Megan Abbott, torsioni innaturali, il prezzo della graziaDorothea Tanning, «Nue couchée», 1969–70, Londra, Tate Modern

Narrativa statunitense Perfide figure, delle quali Megan Abbott individua fragilità e disperazione, sfilano nei suoi noir femminili: in «Giri di danza», due sorelle sono prese in un vortice di attrazioni fatali, da Bollati Boringhieri

Pubblicato 23 giorni faEdizione del 22 settembre 2024

Scrittrice che ha rivoluzionato più di altri, nel XXI secolo, i canoni del noir letterario e cinematografico, Megan Abbott ha goduto, per quasi vent’anni, di una stupefacente disattenzione e i pochi suoi titoli che sono stati tradotti sono per lo più oggi introvabili. Potrebbe dipendere dal fatto che a prima vista i suoi romanzi sembrano attagliarsi poco al genere cui si è votata: nei suoi libri, infatti, non ci sono investigatori, né privati né in divisa, e nutre per la ricerca del colpevole lo stesso disprezzo che Hitchcock riservava all’«whodunit», sdegnando per di più anche la rincorsa di quelle trame nascoste che appassiona, per esempio, James Ellroy. Per Megan Abbott il noir è solo lo specchio scuro che riflette i segreti delle relazioni soprattutto tra donne, in particolare tra sorelle per sangue o per scelta, la morbosità ambigua dei legami famigliari, il lato angelico delle malvagie femmes fatales e quello demoniaco delle brave ragazze.

I primi romanzi di Megan Abbott erano tutti ambientati tra gli anni ’30 e i ’50, in una Los Angeles ripresa fedelmente dai noir di Hollywood che la futura autrice divorava da adolescente. Ma già dal 2009 Abbott ha spostato lo sguardo su una dimensione presente e suburbana, immune da legami con l’underworld equivoco: sulle relazioni tortuose tra amiche, sul condizionamento imperioso che il passato esercita, sull’urgenza minacciosa del desiderio. Anche in quei primi libri, in superficie più classici,  il vero tema era un’investigazione spietata ma amorevole dell’universo  femminile, del quale descrive le gelosie, le invidie, la competitività, le relazioni morbose, senza perciò smettere di amare  le sue protagoniste, neppure nei loro lati peggiori. Nelle sue pagine sfilano donne di potere, ragazze divorate dall’ambizione e pronte a tutto, bugiarde scintillanti e calamitose, assassine: un intero catalogo di perfide figure, trattate con la massima partecipazione, individuandone le fragilità e la disperazione, svelandone la debolezza nascosta.  Quella di Megan Abbott è la prima visione strutturalmente femminile del noir, di cui smonta dall’interno lo schema per restituircelo trasformato e sovvertito fino a risultare irriconoscibile.

Il penultimo romanzo della scrittrice di Detroit, femminista priva di retorica e di ricadute ideologiche sulla sua scrittura,  è appena stato tradotto da Bollati Boringhieri con il titolo Giro di danza (a cura di Federica Noseda, pp. 348, € 18,00) segnando un passo ulteriore sulla strada percorsa da sempre, anche se – come il successivo Beware the Woman – in realtà è più un gotico americano che un  noir. Com’è nelle sue abitudini, Megan Abbott fa partire il romanzo lentamente, lasciando montare pagina dopo pagina una tensione all’inizio quasi impercettibile, poi sempre più soffocante. Protagoniste sono Dara e Marie, due sorelle ex ballerine con una tragedia familiare alle spalle, che le ha lasciate eredi di una scuola di danza. La gestiscono con il marito di una di loro, anche lui ex ballerino, adottato da bambino dai genitori delle ragazze, che lo hanno cresciuto come un fratello incestuoso.  Strette in una dimensione a cavallo tra il sogno e il sortilegio, le due sorelle vivono prigioniere del passato e dell’ombra sciagurata dei genitori, in una folie à trois di cui sono tutti complici e che continuano a riproporre senza alcuna consapevolezza della propria infelicità.

Quella dimensione incantata e sinistra, fuori dal mondo, esplode quando entra in scena una specie di versione maschile della femme fatale, che Abbott descrive con abbondanza di ironia. È un ragazzo  rozzo e sessualmente magnetico, seduttivo e bugiardo, manipolatore e in sé un miserabile. Mentre lo spoglia di ogni fascino, l’autrice ne riconosce tuttavia in pieno l’attrazione, rendendo Giri di danza  anche un osservatorio dei versanti meno confessabili del desiderio femminile. L’irruzione del ragazzo riaccende bramosie frustrate, riattualizza sogni dimenticati, innesca un processo a catena che smantella l’equilibrio malato del terzetto con conseguenze sanguinose e tragiche ma anche catartiche e salvifiche.

Sullo sfondo, onnipresente, la danza. L’intera vicenda si svolge in contemporanea con l’allestimento e le prove dello Schiaccianoci, il balletto che ogni anno le allieve di turno mettono in scena con tutto il corredo di competizioni e invidie implicato. Invece di farsi catturare dalla grazia e dalla lieve magia del balletto, Abbott insiste sull’estremo dolore fisico che è il prezzo di quella grazia: la violenza innaturale esercitata sui propri arti, le ferite e le piaghe, i danni a volte permanenti. Entrare nel sogno dello Schiaccianoci  costa un’atroce sofferenza fisica: uscirne, nel caso di Dara e Marie, per le quali quel sogno è diventato una prigione, implica una violenza traumatica sul proprio corpo e un dolore psichico anche più lancinanti.

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