A questo punto le possibilità sono due. La prima: ogni singolo governo in Europa ha frainteso per anni la postura dell’ex presidente ed ex premier russo Dmitri Medvedev. Sarebbe un errore clamoroso, ma è successo anche di peggio. La seconda: la guerra in cento giorni ha fatto di questo politico, ritenuto forse a torto il volto moderno e moderato del paese, uno dei più accaniti e agguerriti avversari dell’occidente. Come accade spesso, è possibile che la verità sia nel mezzo.

CHE L’EUROPA ABBIA CONCESSO in passato sin troppa fiducia all’ipotesi di una svolta liberale guidata proprio da Medveded. E che le tensioni degli ultimi tre mesi stiano spingendo su posizioni radicali anche chi, in effetti, partiva da presupposti ben diversi. Così si riuscirebbero a spiegare le ultime parole usate da Medvedev sui suoi profili social. «Mi chiedono spesso perché i miei post su Telegram sono così duri», ha scritto ieri: «La risposta è che li odio. Sono bastardi e degenerati. Vogliono la nostra morte, la morte della Russia. ma sinché sarò vivo farò il possibile perché spariscano».

A MEDVEDEV HA RISPOSTO in Italia il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha parlato di «campagna d’odio», di «minacce», di «affermazioni gravissime e pericolose», di un segnale contrario al dialogo, al cessate il fuoco e ai tentativi di raggiugere la pace. Tentativi che per la verità al momento languono. La premier estone, Kaja Kallas, ha espresso in una intervista al Financial Times critiche aperte a una «tregua prematura». Spingere l’Ucraina verso un accordo sarebbe un errore, ha detto Kallas: meglio prepararsi a una guerra lunga, che dovrebbe terminare con la sconfitta della Russia.

Così, l’unica trattativa rimasta aperta rimasta aperta è quella che il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, condurrà senza particolari pressioni quest’oggi ad Ankara con i rappresentanti del governo turco e delle Nazioni unite. Si discute di un passaggio sicuro per i cargo di grano fuori dal porto di Odessa. Ma i colloqui di pace, lo ha ribadito il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, «sono a livello zero».

IN QUESTO QUADRO arrivano le dichiarazioni di Medvedev. Quando Vladimir Putin lo ha scelto nel 2007 come successore al Cremlino molti in Europa e negli Stati uniti hanno visto in lui la possibilità di graduali aperture al Cremlino. L’ascesa, allora quarantenne, coincideva dopotutto con il successo elettorale di Barack Obama contro il senatore repubblicano John McCain. Insomma, ce n’era abbastanza per ritenere che una nuova generazione avrebbe preso le redini dei due paesi e che le avrebbe mantenute a lungo, portando a termine attese riforme.

NEL CASO DELLA RUSSIA quelle speranze sarebbero dovute terminare già nel 2008, con la decisione di spingere i carri armati dentro i confini della Georgia, a trenta chilometri dalla capitale, Tbilisi, e con i colloqui serrati che hanno visto proprio Medvedev scandire di fronte all’ex presidente francese Nicolas Sarkozy la priorità dell’interesso russo su qualsiasi norma internazionale. Nel caso degli Stati uniti sarebbe stato necessario attendere soltanto qualche anno in più.

Vero è che a Mosca la presenza di Medvedev al Cremlino è stata seguita da un parziale rinnovamento nei palazzi del potere, un processo per molti versi chiuso con la riconsegna del mandato a Putin nel 2012, con otto opachi anni trascorsi alla guida del governo, e con una serie di incarichi che possono essere considerati minori. Come quello di vicepresidente che ricopre adesso al Consiglio di sicurezza.

Ora sembra che Medvedev abbia deciso di sfruttare il clima di guerra per uscire dall’oscurità, per lasciarsi alle spalle le nebbie in cui si era cacciato e forse anche per scrollarsi di dosso i pregiudizi liberali che i partiti conservatori hanno espresso in passato sul suo conto.

QUEI PARTITI sono stati a lungo ai margini della vita politica in Russia per le loro tesi radicali. Chiedevano per esempio di invadere l’Ucraina e di costruire una nuova nazione fra il Donbass e la Crimea. Pensavano che una guerra avrebbe permesso di purificare tutta la Russia. Oggi sono loro i più vicini a Putin. A Medvedev non restano molte alternative.