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Mediterranea: «I 58 tratti in salvo avrebbero potuto finire a Gjader»

Mediterranea: «I 58 tratti in salvo avrebbero potuto finire a Gjader»

Migranti I naufraghi soccorsi dall'ong italiana provengono da Bangladesh ed Egitto, esattamente con i 16 sbarcati dalla marina militare in Albania

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 17 ottobre 2024

Sono sbarcati martedì a Porto Empedocle i 58 migranti soccorsi da Mediterranea saving humans lunedì all’alba in zona Sar tunisina. Quasi tutti provengono dal Bangladesh, solo due dall’Egitto, tra cui un minorenne non accompagnato. Sono le stesse nazionalità delle 16 persone che ieri mattina a bordo della nave Libra della marina militare sono approdate sulle coste albanesi per essere condotte prima nell’hotspot di Shengjin e poi nel centro di Gjader.

Egitto e Bangladesh sono tra i paesi che il governo italiano considera «sicuri», eppure le testimonianze riportate dai medici a bordo della Mare Jonio raccontano una realtà diversa. Le persone provenienti dal Bangladesh sono quasi tutte di età molto giovane, poco più che ventenni, e hanno lasciato il paese negli ultimi mesi a causa di persecuzioni politiche. Molti erano «esposti» per il loro attivismo e per questo sono stati costretti ad andare via: minacce di morte, tentativi di bruciare la casa dove vivevano, mandati di arresto sono solo alcuni degli elementi emersi dai racconti.

Arrivati in Libia sono stati catturati dalla mafia locale e, dopo mesi di detenzione, lasciati liberi dietro pagamento di un riscatto. Per raggiungere la cifra si sono rivolti alle famiglie, che hanno dovuto vendere terre e beni di valore per raggiungere le somme estorte. Quindi la partenza da Zuara, a bordo del mezzo raggiunto poi dalla Mare Jonio: una barca in grado di ospitare al massimo dieci persone mentre a bordo erano in 58.

Al momento del soccorso si trovavano in mare da 40 ore, 22 delle quali trascorse senza cibo né acqua. Anche le condizioni di salute erano critiche, compromesse dalle violenze subite nel corso del periodo detentivo in Libia. Le visite a bordo della Mare Jonio hanno documentato i segni delle torture subite nei lager libici: percosse quotidiane con aste di metallo, disidratazione e malnutrizione; uno di loro ha una frattura alla tibia. In alcuni casi i video delle torture venivano inviati ai familiari per spingerli a pagare il riscatto.

Un salvataggio che smentisce quanto affermato da Meloni in Parlamento, dove ha definito l’Italia un modello. «Persecuzioni, terrore, rischio di essere incarcerati o uccisi: ecco chi, secondo il ministro Piantedosi e la premier, deve finire deportato in Albania» ha dichiarato Sheila Melosu, capomissione della Mare Jonio. Se la barca fosse stata intercettata dalla guardia costiera italiana, infatti, l’Albania sarebbe stata una destinazione possibile. Il protocollo prevede, infatti, che possano essere trasferite in Albania persone non vulnerabili, provenienti da paesi sicuri e soccorse da autorità militari italiane.

Mercoledì le autorità italiane hanno fermato di nuovo la Mare Jonio: 20 giorni di stop e 4mila euro di multa. Gli attivisti annunciano ricorso ma, in loro assenza, nei prossimo giorni sarà più probabile che i naufraghi finiscano verso le navi ufficiali che potrebbero avviarli verso Gjader.

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