«Il Viminale ha 10 ore per organizzarsi. Poi entriamo». Suona come un ultimatum al ministero dell’Interno l’annuncio diffuso ieri mattina con cui Mediterranea Saving Humans ha comunicato di non essere disponibile ad accettare le attese in mare a cui la gestione Lamorgese degli sbarchi ha abituato le Ong. Sulla nave umanitaria ci sono 92 naufraghi salvati in due interventi tra lunedì e martedì. Una trentina i minori non accompagnati. Particolarmente complesso il secondo salvataggio, realizzato nonostante la minacciosa presenza sulla scena di una motovedetta della sedicente «guardia costiera» libica.

L’altro ieri pomeriggio il comandante della Mare Jonio, impegnata nella sua dodicesima missione, ha inviato la prima richiesta di Place of safety (Pos) al Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma per lo sbarco dei naufraghi. In risposta ha ricevuto la solita mail con cui la Guardia costiera comunica di aver inoltrato la domanda «alla competente Autorità Nazionale». Cioè il Viminale. Dopo che ieri mattina anche la seconda richiesta di Pos ha avuto lo stesso esito la nave ha puntato la prua verso la punta meridionale della Sicilia e accelerato la velocità di navigazione fino a 13 nodi.

«Questo modo di fare deve finire. Riguarda la politica, non la logistica o la tecnica. Riguarda il governo, non la nostra Guardia costiera», ha scritto in un comunicato Mediterranea puntando il dito verso il ministero dell’Interno. Dove non hanno apprezzato.

Garantire un Pos nel più breve tempo possibile, però, è un obbligo che deriva dai trattati internazionali, come la Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo del 1971. La Mare Jonio ha dalla sua anche la bandiera: che a differenza di tutte le altre Ong è italiana. Impossibile negarne l’ingresso nelle acque territoriali o la possibilità di sbarcare.

Nelle precedenti missioni la nave ha atteso in mare da un massimo di sei giorni, ad agosto 2019, a un minimo di uno, a giugno 2020. Tempi considerevolmente più bassi rispetto alle altre Ong. Essere una nave italiana ha sicuramente aiutato, ma ha pesato soprattutto l’atteggiamento deciso messo in pratica dall’organizzazione. Da quel «Io non spengo nessun motore» detto dal comandante Pietro Marrone a una motovedetta della Guardia di finanza durante la prima missione, quando al Viminale c’era Matteo Salvini, Mediterranea è scesa poco a compromessi con le attuali modalità di gestione degli sbarchi. Anche perché ritiene di avere dalla sua le convenzioni internazionali a tutela dei diritti dei naufraghi. Che stabiliscono obblighi precisi per gli Stati costieri.

Nello stesso comunicato diffuso ieri, Mediterranea ha chiesto l’assegnazione rapida del Pos anche alla Sea-Watch 3 che da domenica si trova al largo delle coste italiane, prima di Lampedusa e poi della Sicilia, in attesa di far scendere le 356 persone salvate. A bordo la situazione si sta complicando. Tre evacuazioni mediche d’urgenza hanno portato a terra una decina di persone, tra migranti in difficili condizioni di salute e familiari. «Quante altre evacuazioni saranno necessarie prima di poter far sbarcare tutti in un porto sicuro? – ha twittato la Ong – Hanno bisogno di cure mediche a terra. Ne hanno bisogno ora».

Mentre scriviamo la Sea-Watch 3 si trova davanti a Siracusa, in acque territoriali italiane. La Mare Jonio è a Pozzallo e ha chiesto la banchina per approdare. Intanto la Aita Mari e la Sea-Eye 4 stanno facendo rotta verso le acque internazionali tra Libia e Italia.

AGGIORNAMENTO 1:24, 09/06/2022

Mediterranea ha vinto il braccio di ferro con il ministero dell’Interno. Non solo ieri sera le è stato assegnato il porto di Pozzallo, anche se con la dicitura Port of destination (Pod) usata per le navi commerciali e non per gli eventi Sar, ma lo stesso è stato fatto anche con la Sea-Watch 3. L’inizio delle operazioni di sbarco è previsto per questa mattina.