Un terzo dei medici andrebbe subito in pensione: il 25% dei camici bianchi tra i 25 e 34 anni e il 31% tra i 35 e i 44 anni. È uno dei dati dell’indagine commissionata dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici, presentata ieri, nell’ambito della conferenza nazionale sulla professione a cui hanno partecipato 15 sigle sindacali. «In pandemia – sottolinea il report – il carico di lavoro è cresciuto per 3 medici su 4, portando quasi un ospedaliero su 5 a cambiare reparto».

CARICHI DI LAVORO insostenibili, carriere bloccate, stipendi più bassi del 50% rispetto ai principali paesi europei stanno producendo la fuga dei professionisti dal Servizio sanitario nazionale e persino dall’Italia. Si dichiarano stressati il 90% dei medici del territorio, il 72% dei medici ospedalieri, l’80% degli specialisti ambulatoriali. «Numerose le segnalazioni di burnout – il commento del presidente della Fnomceo, Filippo Anelli -. Il Covid ha reso evidenti carenze ed errori del passato». Anelli ha proposto la creazione di un Osservatorio nazionale sulla tutela dei diritti e delle condizioni lavorative dei medici, a valenza consultiva, presso il ministero della Salute.

DONNE E PROFESSIONE MEDICA meritano un capitolo a parte: «I diritti dei lavoratori non sono ancora completamente esigibili da parte delle donne: il 38% tra 25 e 34 anni si sente discriminata e il 50% delle colleghe più giovani ritiene di non essere tutelata in maternità». La Fnomceo chiede a Stato e Regioni risorse speciali per i contratti di lavoro e l’abolizione di ogni limite per l’assunzione dei medici sia in ospedale che sul territorio «nel rispetto di una corretta programmazione». Anche Anaao Assomed ha messo sul tavolo i numeri dei suoi studi: «Negli ultimi 3 anni il Ssn ha perso quasi 21mila specialisti. Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8mila camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%. Serve la stabilizzazione dei precari e la trasformazione dell’attuale contratto di formazione in un contratto a tempo determinato di formazione-lavoro con conseguente inserimento nella rete ospedaliera regionale» ha spiegato il segretario nazionale, Carlo Palermo.

I PROBLEMI sono noti: «Orari non umani, condizioni di lavoro insicure; scarsa flessibilità nell’organizzazione in assenza di welfare aziendale; stipendi non in linea con i contratti di lavoro sottoscritti e con le norme di legge; non sono garantiti percorsi di carriera e opportunità di crescita. Il quadro lascia presagire il progressivo declino della sanità universalistica. Il livello attuale delle uscite dei medici (pensionamenti e dimissioni) è di circa 7 mila specialisti ogni anno, l’attuale capacità formativa è intorno a 6 mila e solo il 65% accetterebbe un contratto con il Ssn» avverte Palermo. «Negli anni 2009-2019 – la denuncia di Cimo Fesmed – abbiamo perso 11.600 strutture complesse e semplici; il nuovo contratto di lavoro consente di avere incarichi di altissima professionalità solo nella misura del 10%. Ma proliferano i direttori assistenziali, vedi Emilia Romagna, i manager che affiancheranno i direttori di dipartimento, vedi Liguria, o i direttori generali, vedi Lombardia».

LA FONDAZIONE GIMBE ha fatto i conti: «Nel decennio 2010-2019 il Ssn ha avuto 8,2 miliardi, inferiore al miliardo l’anno, ulteriormente eroso dall’inflazione. Dalla Legge di bilancio 2020 si vede il cambio di marcia: 2 miliardi per il 2020, un ulteriore miliardo e mezzo per il 2021 e, soprattutto, l’eliminazione del superticket. Poi ci sono stati i decreti straordinari per il Covid che hanno portato nelle casse 9 miliardi e 183 milioni. Nel Def abbiamo 130 miliardi nel 2025 ma se la pandemia non mollerà la presa non basteranno. Rispetto al 2020-2022, per gli anni 2023-2025 si prevede una riduzione del rapporto spesa sanitaria-Pil dal 6,6% al 6,2%».

IL MINISTRO SPERANZA: «I tetti di spesa sono un disastro a cui porre rimedio, il Ssn va rafforzato. Vanno bene le case di comunità ma lo studio di medicina generale è irrinunciabile. Per il personale, avremo difficoltà per i prossimi 2, 3 anni poi, grazie agli investimenti, la situazione cambierà». Ma il presidente della Conferenza delle Regioni Fedriga ammette: «Ci sono le risorse per costruire gli ospedali e le Case di comunità, ma servono risorse strutturali per riempire quelle strutture. I fondi per la Sanità non sono sufficienti».