Mattarella e Macron si sono sentiti al telefono sabato pomeriggio, come riportato sul sito dell’Eliseo sabato stesso. Giorgia Meloni era stata avvertita in anticipo e messa al corrente del contenuto del colloquio subito dopo. Il comunicato congiunto, preparato dagli italiani, rivisto dai francesi, era pronto già domenica ma entrambi i Paesi hanno ritenuto più opportuno diramarlo ufficialmente solo ieri mattina. Palazzo Chigi fa filtrare che a chiamare è stato il presidente francese. La versione del Quirinale è che i due presidenti sono in contatto continuo, avevano concordato la telefonata e quindi chi abbia composto per primo il numero è irrilevante.

PIÙ PRECISAMENTE bisognerebbe dire che, data la delicatezza del caso, mantenersi vaghi sul chi abbia chiamato prima conviene sia al Quirinale che all’Eliseo. Macron rischierebbe di passare per il più interessato a chiudere l’incidente: segno di debolezza. Mattarella, ove ammettesse di aver composto per primo il numero, moltiplicherebbe la sensazione già forte di esercitare un ruolo di supplenza ai danni della presidente del consiglio. Meglio non dire.

Del resto la questione è realmente secondaria come ininfluente è il contenuto del colloquio. Ovvietà come la riaffermazione «della grande importanza delle relazioni tra i due Paesi» e della «necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore sia in ambito bilaterale sia della Ue». Nel merito dello scontro sui migranti e i porti chiusi nemmeno una parola: quella sarebbe davvero un’invasione di campo plateale e si sa quanto attento sia a queste cose Mattarella.

Contano solo il gesto, il fatto stesso che la telefonata ci sia stata, la sua valenza automaticamente distensiva. Da questo punto di vista chiudere l’incidente è nell’interesse di tutte le parti in causa, a partire da palazzo Chigi. Ma anche per l’Eliseo perdere l’asse con l’Italia nel pieno di un braccio di ferro con la Germania su questioni fondamentali come il piano contro la crisi energetica o le nuove regole Ue non è affatto auspicabile.

L’esposizione del capo dello Stato italiano offre a tutti la via d’uscita da un’escalation che si stava avvicinando al punto di non ritorno. Il décalage nei toni dei politici italiani anche più avvezzi al ringhio, come il Salvini per cui «l’importante è che l’Europa faccia la sua parte e che i Paesi del Mediterraneo non siano lasciati soli», prova che all’appiglio si attaccano tutti volentieri. Se l’incidente sarà chiuso anche formalmente, con un incontro tra i duellanti Meloni e Macron a Bali e soprattutto con il ripristino degli accordi sui ricollocamenti da parte della Francia, lo si capirà solo nei prossimi giorni, anche se ieri sera qualche speranza sul fronte ricollocamenti negli ambienti del governo di Roma c’era. L’importante è che l’escalation si sia fermata.

L’INCIDENTE SPECIFICO è chiuso o quasi. La questione generale che lo ha prodotto invece resta del tutto aperta, perché l’incidente stesso è destinato a lasciare il segno e ha eroso i margini d’azione del governo italiano. Un nuovo blocco come quello della settimana scorsa, a questo punto, implicherebbe uno scontro frontale non solo con la Francia ma con tutta la Ue. Il governo sta preparando un decreto, anche se qualcuno punta invece su un ddl, di fatto contro le Ong. Innescherà tensioni e polemiche comunque ma se porterà a nuovi blocchi degli sbarchi non sarà solo tensione ma esplosione.