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Sono centinaia i casi Maysoon, le vittime trasformate in colpevoli

Sono centinaia i casi Maysoon, le vittime trasformate in colpevoliUn frame del cortometraggio Thirsty flight con Maysoon Majidi al centro foto fb FreeMaysson Majidi

Diritti Prendere parola contro le accuse che le vengono mosse significa, né più né meno, avversare le infinite forme di criminalizzazione che subiscono le persone migranti

Pubblicato 18 giorni faEdizione del 28 settembre 2024

Caro Direttore,

Soran è laureato in Scienze politiche e a causa della disoccupazione e della mancanza di mezzi di sostentamento è costretto a fare il kolbar, ovvero il contrabbandiere di merci illegali attraversando le montagne del confine tra il Kurdistan iracheno e il Kurdistan iraniano. Soran racconta la vita di Yalda, una giovane donna che dopo aver scontato in carcere la condanna per l’omicidio dell’uomo che l’aveva violentata, insegna ai bambini fuggiaschi e vittime della guerra. La drammatica vicenda di Yalda segna profondamente Soran, il quale promette a sé stesso di emigrare e combattere le leggi che violano i diritti umani.

Questa è la trama di Thirsty flight, il cortometraggio del 2021 diretto da Edris Abdi e Maysoon Majidi. È proprio Majidi a interpretare Yalda, che in una scena commovente danza di fronte a cinque bambini imitando un’aquila e muovendo le braccia come fossero ali. Si tratta, pensiamo, della rappresentazione del «volo assetato» di Soran, di Yalda e di chi, come loro, non ha altra scelta se non quella di fuggire da regimi teocratici e dispotici.

Maysoon Majidi, ormai è chiaro, non è solo una regista: è un’attivista per i diritti umani e ha lavorato come reporter e giornalista indipendente, soprattutto nel Kurdistan iracheno. In seguito alle minacce ricevute dal governo iraniano è partita verso la Turchia insieme al fratello per cercare di raggiungere la Germania. Quando è arrivata sulle nostre coste, il 31 dicembre del 2023, è stata arrestata e accusata di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e di aver guidato, insieme a un altro migrante, l’imbarcazione che avrebbe condotto lei e altre decine di persone in Italia. Subito arrestata, ancora oggi si trova in una cella del carcere di Reggio Calabria.

La storia di Majidi è stata raccontata più volte – anche e soprattutto su questo quotidiano – e in diverse occasioni è stata messa in evidenza la fragilità dell’impianto accusatorio e la discussa natura dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione, che include il reato che le viene contestato (articolo che, dopo il cosiddetto Decreto Cutro, prevede un ulteriore inasprimento delle pene).

Sono state numerose le udienze al Tribunale di Crotone, e ancora oggi non è stata concessa la possibilità di trasferire Majidi agli arresti domiciliari, almeno fino alla sentenza. E altrettanto numerose sono state le iniziative di solidarietà, grazie anche alla grande mobilitazione di chi in Calabria – quando ancora nulla si conosceva di questa vicenda – continuava ad animare una campagna che non sembrava andare oltre i confini regionali. E invece così è stato, perché spesso, come scrive Emanuele Pinto del Comitato Free Maysoon, «dalle ferite di queste terre del Sud sboccia un attivismo forte, fatto dagli ultimi, tanto vicini a chi arriva qui da paesi lontani e non trova libertà ma altre forme di oppressione».

La storia di Maijidi è stata condivisa in tantissime piazze italiane, tanto da arrivare all’interno del Parlamento. E ha posto le basi per una seria discussione a proposito del reato cosiddetto «di scafismo». Perché è bene ricordarlo: Maysoon Majidi è una delle tante persone accusate di essere tra coloro che guidano le imbarcazioni di migranti che arrivano in Italia via mare.

Secondo Arci Porco Rosso, che monitora sistematicamente gli arresti, nel 2023 si sono registrati 177 fermi; e tenendo in considerazione le dichiarazioni del ministro dell’Interno Piantedosi e del governo – secondo cui nel 2022 si sono contati circa 350 arresti e nel biennio 2022-2023 altri 550 fermi – la stima dello scorso anno è di un totale di 200 persone accusate di essere «scafiste». E un altro dato significativo è quello riportato dall’avvocata Tatiana Montella, sempre su questo giornale: «Tra il 2006 e il 2016, più di 81 mila persone sono state imputate o condannate in Europa per il reato di favoreggiamento».

Prendere parola contro le accuse mosse a Majidi significa, né più né meno, prendere parola contro le infinite forme di criminalizzazione che subiscono le persone migranti, sino a essere colpevolizzate formalmente per quello che, a tutti gli effetti, è un reato di solidarietà. Questa campagna può essere anche un utile occasione per riflettere sul sistema normativo vigente che affolla le nostre carceri e che affronta con strumenti crudeli e allo stesso tempo grossolani, una realtà multiforme e complessa che non possiamo fingere di non vedere.

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