Il governo è chiaro: lo stato di diritto è solo un intralcio
Il disegno di legge «sicurezza» è solo l’ultimo atto di un più ampio progetto che punta ad abbandonare i principi del nostro sistema costituzionale per abbracciarne altri che appartengono alla storia della destra attualmente al governo.
Detto in sintesi: allontanarsi da ogni idea di solidarietà, garantismo e tutela dei diritti, per favorire il primato dell’egoismo individuale, del populismo penale e dell’ordine pubblico ideale attorno a cui si struttura la mentalità autoritaria.
Così, da un lato, abbiamo la Costituzione, che vieta la violenza, ma legittima il conflitto e la libertà del dissenso, dall’altro, un governo che reprime lo scontro sociale e individua nuove fattispecie di reato. Ciò che non viene più tollerato sono le manifestazioni di critica all’autorità.
Passo dopo passo – dal decreto Cutro al ddl sicurezza – si vuole riaffermare il principio della superiorità dello Stato cui i cittadini devono limitarsi a credere e obbedire.
È IL POTERE che tutela il popolo. Ad esso spetta garantire i diritti, stabilire chi sono gli «amici», quali i «nemici». È il governo a farsi garante della «difesa dei confini» (come se si fosse in guerra), a lui appartiene il potere di escludere «gli altri».
In questo contesto lo stato di diritto e i vincoli internazionali rappresentano perlopiù un intralcio e, dunque, possono essere messi in discussione. Se poi qualche giudice pretende di farli valere si può sempre urlare al complotto. Il potere non può essere portato a processo, esso è legibus solutus. Il principio di autorità prevale su quello di legalità.
Basta elencare alcune delle misure contenute nel ddl sicurezza per avere chiara la direzione di marcia.
La legalità ordinaria è un ostacolo e il potere dei giudici un intralcio? Si facciano decidere alle autorità di pubblica sicurezza le misure preventive limitative della libertà individuale.
Dopo il decreto Caivano, che estendeva ai minori l’applicazione del «Daspo urbano», ora le misure di allontanamento deciso dai questori possono colpire chiunque sia stato anche solo denunciato per reati contro la persona o il patrimonio senza bisogno di una valutazione in concreto di «pericolosità sociale». Come si possa conciliare questo con quanto stabilisce la Costituzione agli articoli 13 e 25 è un mistero.
Le misure definite per contrastare il diritto di manifestare sono ancor più esemplari, giungendo a punire qualsiasi blocco stradale posto in essere «con il proprio corpo» e prevedendo una specifica aggravante qualora le azioni di protesta siano rivolte ad impedire la realizzazione di una grande opera pubblica (eco-attivisti e No Ponte sono avvisati). C’è da chiedersi cosa rimanga della libertà di riunione e di manifestazione del pensiero.
Anche le misure previste in materia di terrorismo appaiono allontanarsi dai principi propri del diritto penale liberale. Non basta più, infatti, la norma che già punisce «comportamenti univocamente finalizzati alla commissione di condotte con finalità di terrorismo» (art. 270 quinquies codice penale), ora si punisce anche chi si procura o detiene materiale potenzialmente idoneo a compiere atti di terrorismo. Un diritto penale di prevenzione di assai dubbia efficacia, ma di sicuro impatto simbolico.
SULLE OCCUPAZIONI abusive si esprime il massimo della forzatura ideologica. Si prescinde infatti del tutto dal considerare le condizioni reali di disagio che possono portare a occupare immobili.
Si riduce un dramma – quello della carenza abitativa e dell’ineffettività del diritto alla casa – a una nube di fumo che tutto equipara. Lo dimostra non solo l’assenza di misure di contrasto alla carenza abitativa, ma anche l’estensione delle pene previste (sino a sette anni!) a chiunque cooperi nell’occupazione. Introducendo così il «reato di solidarietà».
Nessuno potrà più sostenere chi è in situazione di disagio estremo: chi vive in alloggi occupati deve essere lasciato al suo destino e guai a chi si vuol far carico dei bisogni primari dei diseredati.
Verrebbe da chiedersi se anche il Papa sarà incriminato, visto che ha espresso in più occasioni solidarietà e il suo elemosiniere si è spinto persino a riattaccare la corrente ad un palazzo occupato.
La prigione è stata in passato considerata un’istituzione totale, disumana e finalizzata ad umiliare la dignità delle persone recluse. La nostra Costituzione dispone, invece, che chi deve scontare una pena sia trattato con senso di umanità e che il fine della reclusione sia quello della rieducazione del condannato.
Le nuove misure introdotte dal ddl sicurezza ci fanno tornare al carcere come luogo di alienazione disumanizzante. Lo dimostrano due misure selvagge.
La prima cancella il differimento obbligatorio del carcere per le donne incinte o le madri con figli sino ad un anno. Si esige che il carcere travolga tutto. «L’interesse superiore del minore» che è principio che informa la normativa di tutti i paesi che si ritengono civili cede il passo a una visione che non rispetta nessuno, neppure i diritti di chi non solo non ha colpe ma è pure in culla. Vittime innocenti, «danni collaterali» si dirà, utilizzando l’osceno linguaggio bellico.
L’ALTRA MISURA punisce chiunque all’interno delle strutture carcerarie si oppone a un ordine di un agente di polizia, opponendo una resistenza passiva. Anche in questo caso mettendo sullo stesso piano il comportamento di chi rifiuta di sottostare ad un comando – magari illegittimo – e chi partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia (ipotesi quest’ultime già sanzionate). È stata definita la norma «anti Gandhi»: in effetti oggi c’è da temere che Gandhi sarebbe in carcere a scontare la sua pena.
Che poi analogo trattamento sia previsto nei confronti delle persone migranti trattenute nei Cpr o nei Cas non può certo stupire.
La paura nei confronti dello straniero – «nemico» in via di principio – non prevede il rispetto dei diritti di persone che non hanno commesso reati, ma sono ugualmente costrette in centri assai spesso peggiori delle carceri.
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Prima ancora che incostituzionale è una previsione surreale. Chi può pensare possa funzionare? Impedire di comunicare al tempo di internet è come voler tornare nella preistoria. In fondo, forse, è proprio questa la direzione di marcia.
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