Internazionale

Matrimoni omosessuali, la Thailandia dice sì. Basta non insultare il re

Asia Le prime nozze già a ottobre, passo storico del paese asiatico che pochi mesi fa aveva legalizzato la marijuana. Ma stenta sui diritti politici e su quello di parola.

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 19 giugno 2024

Per una volta dalla Thailandia arriva una buona notizia. Riguarda il voto del Senato che ha dato l’approvazione definitiva, dopo che già erano passate alla Camera bassa, alle modifiche della legge sul matrimonio che consente ora alle coppie dello stesso sesso di sposarsi. La legge è passata con 130 voti favorevoli, quattro contrari e 18 astensioni. La luce verde finale è ora nelle mani di re Maha Vajiralongkorn (Rama X) e il dispositivo entrerà in vigore 120 giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta reale ufficiale.

LA THAILANDIA diventa così, dopo Taiwan e Nepal, il terzo paese in Asia dove le coppie dello stesso sesso potranno sposarsi e i primi matrimoni potrebbero essere dunque già celebrati in ottobre. Per altro, quando all’inizio di giugno migliaia di manifestanti e attivisti Lgbtqia+ hanno sfilato con il loro Pride nelle strade di Bangkok, erano stati raggiunti anche dal primo ministro Srettha Thavisin, che indossava una maglietta arcobaleno.

E del resto la Thailandia è nota per essere poco bacchettona in tema di sessualità e per la sua tolleranza. Tolleranza che, con la decisione di liberalizzare la marijuana, fa del regno siamese una meta popolare per i turisti e che propone un modello di paese avanzato e progressista. Anche se non è proprio così.

Proprio in questi giorni infatti la giustizia thailandese si è trovata tra le mani alcuni casi scottanti. In almeno due l’immagine della Thailandia non appare proprio quella di un paese progressista. Lo è nel costume, assai meno in politica.

Due casi hanno a che vedere proprio con il Senato e con alcune controversie nelle nomine che riguardano, in uno dei due dossier, lo stesso premier Srettha Thavisin, un imprenditore in quota al partito Pheu Thai della famiglia Shinawatra. È l’uomo che è stato nominato primo ministro al posto di Pita Limjaroenrat del Partito (questo si progressista) Move Forward (Phak Kao Klai – Mfp), considerato inadatto a ricoprire il ruolo di premier per un’incompatibilità – poi risoltasi in un nulla di fatto – che lo aveva esautorato dal ruolo di parlamentare proprio nel momento in cui – vinte le elezioni – stava per essere nominato a capo del governo.

Nel suo caso, la Corte costituzionale deve ora decidere se il suo partito, già per altro fatto fuori dai giochi di palazzo, deve essere o meno messo al bando perché avrebbe voluto riscrivere la sezione 112 del codice penale, nota anche come legge sulla lesa maestà.

UN DESIDERIO di riforma che secondo alcuni è un crimine e secondo Mfp è invece un diritto. Mfp è per altro l’erede di un partito, il Future Forward Party (Phak Anakhot Mai), dissolto nel 2020, guarda caso proprio dopo una bella performance alle elezioni.

Più semplice invece è un quarto caso – anche questo non sintomo di una specchiata democrazia – che riguarda l’ex primo ministro Thaksin Shinawatra cui ieri il tribunale penale ha concesso la libertà su cauzione, con divieto di lasciare il paese per una vicenda che, anche questa, riguarda la diffamazione reale per alcune frasi sulla corona durante un’intervista rilasciata dall’ex premier a Seul il 20 maggio 2015.

Se nel caso di Thaksin è facile immaginare che l’accusa di lesa maestà cadrà (l’ispiratore dell’attuale partito di governo Pheu Thai è tornato in patria dopo un lungo esilio ed è già stato perdonato una volta dal re che gli ha evitato la galera), le cose per Pita e il suo Move Forward Party sono invece assai più complicate.

PITA, un giovane e brillante colletto bianco che ha saputo conquistare il voto giovanile e quello delle grandi città, è un avversario politico che, se potrà ripresentarsi alle elezioni, rischia di portare lo sconquasso riformista sin qui evitato allontanandolo dalla politica a colpi di carta bollata. Se il suo partito verrà messo fuori legge sarebbe un guaio personale anche per lui. Al contrario, tornerebbe a essere il cavallo su cui punta in Thailandia chi vuole una riforma e un ridimensionamento del potere reale.

In buona sostanza, benché la legge sui matrimoni tra persone dello stesso sesso sia ovviamente un passo avanti sulla libertà di scelta e i diritti civili, su quelli politici la Thailandia ha ancora molta strada da fare. Con buona pace del premier attuale, di quello vecchio e, naturalmente, del re.

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