Su La Stampa del 30 gennaio compare un’intervista a una neonata associazione, Generazione D, composta, secondo quanto riferito, da genitori di adolescenti trans. Il gruppo si auto-descrive come privo di connotazione politica, religiosa o ideologica.

Ma solo qualche settimana dopo, dalla pagina Twitter di Generazione D, vengono postati articoli contro «il gender» e contro «l’ideologia lgbtq», contenuti simili a quelli che vengono propagati dai gruppi pro-life. A partire da questo caso abbiamo chiesto un parere sulla strategia comunicativa delle realtà pro-vita, a Massimo Prearo.

Il modus operandi di Generazione D può essere ascrivibile al mondo pro-life?
Non è la prima volta che questo gruppo compare. Lo scorso autunno erano stati parte di un evento organizzato a Roma dalle realtà pro-life. Non posso dire con certezza che siano collegati, quello che ho osservato però è che sul sito di Generazione D ci sono tutti gli articoli riportati anche da Genitori Degender, un gruppo che esiste già da tempo sui social e posta contenuti provenienti da siti legati all’universo «anti-gender». Tra i personaggi legati a questo gruppo c’è sicuramente la candidata di Fratelli d’Italia e attivista pro-life Maria Rachele Ruiu.

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Come si muovono questi gruppi fuori e dentro il web?
Il centro di questa galassia oggi in Italia è Pro Vita & Famiglia. Questo gruppo si ispira all’esperienza francese di Manif pour tous. Il principio di fondo che muove la loro azione è il mimetismo. Questi gruppi si presentano come «semplici cittadini», si dichiarano apolitici e aconfessionali e i loro discorsi sono intrisi di richiami al «buon senso», «l’evidenza», «la scienza».
Sono discorsi a circuito chiuso che puntano a bombardare il dibattito con storie estreme. Puntano a creare allarmismo verso il futuro: «ecco verso dove andiamo», «ecco quello che succederebbe se…».

Altre caratteristiche di questa modalità comunicativa sono l’uso di fake news o contenuti presi da fonti non verificate. Su questo sono aiutati dal fatto che ci sono connessioni con gruppi simili in altri paesi. Soprattutto in Uk, c’è un movimento anti-gender forte che negli ultimi anni ha fabbricato un arsenale di documentazione parascientifica. Un cavallo di battaglia è la «teoria del contagio sociale», secondo cui la disforia di genere nei giovani sarebbe causata da un condizionamento sociale.

Cosa accomuna questi gruppi a quelli che compongono per esempio le frange più estreme del mondo no vax?
Una chiave di lettura per la similitudine è il populismo. Torna il richiamo da una parte alle cattive élite, che manipolano e plagiano le menti, dall’altra il popolo «vero» che non ha gli strumenti della scienza ma quelli dell’esperienza. Una caratteristica specifica di questi movimenti, che segna uno scarto rispetto all’azione di altre comunità o sette religiose, è la voglia di trasformare il mondo dall’interno con i suoi stessi strumenti, per invertirne il senso.

Spesso i gruppi religiosi sono comunità chiuse, auto marginalizzate, mentre oggi le realtà pro-life vogliono entrare nei contesti sociali e traghettarli verso le loro posizioni. Essere nei consigli d’istituto, nei gruppi di genitori, nei consigli comunali. Un mimetismo che li porta a rinunciare, forse temporaneamente, ad alcuni tratti identitari.

Quali sono le connessioni di questo mondo con l’attuale governo?
Il legame di questi gruppi con i partiti di destra, Lega ma soprattutto Fratelli di Italia, è forte e dura da anni. A livello locale ha già funzionato. Ora che la coalizione di destra è al governo, dopo un primo momento che è sembrato di prudenza, c’è stato il passaggio all’azione: il divieto di trascrizione all’anagrafe di quei figli delle coppie omogenitoriali e la proposta di legge sul reato universale per chi fa ricorso alla Gpa all’estero, vanno in questo senso. La nomina della Ministra Roccella in cui si trovano rappresentati sia l’attivismo pro-life che quello cosiddetto femminista radicale, ne è l’esempio per eccellenza.

Quanti sono i pro-life in Italia?
Si presentano come un movimento popolare e civico. In realtà sono sorretti da un gruppo ristretto di persone che svolge una sorta di attivismo imprenditoriale, facendo lobbying fuori e dentro le istituzioni e i partiti. La mobilitazione è gestita interamente dall’alto. La verità è che esistono soprattutto in rete e sui social. Hanno anche dei gruppi locali ma sono spesso composti da poche persone. Si evince anche dal fatto che da diversi anni non organizzano grandi manifestazioni di piazza, al di fuori degli eventi tradizionali identitari dell’associazionismo ultracattolico.