Nessuno è davvero ciò che appare, ma questo, tutto sommato, fa parte del gioco. Più rilevante, invece, è che quello che emerge in superficie non conti poi davvero, o meglio, non determini in alcun caso una qualche forma di inquietudine, magari di fastidio, senza evocare emozioni complesse e impegnative come la consapevolezza. È un’Italia assopita nel torpore della crisi sociale, imprigionata nella rete dei piccoli egoismi quotidiani, sedotta da un vocabolario della sopravvivenza che invita a non farsi troppe domande e, men che meno, ad azzardare risposte che potrebbero risultare scomode o spiazzanti, quella che sfila sullo sfondo del nuovo romanzo di Massimo Carlotto, Trudy (Einaudi Stile Libero, pp. 210, euro 18).

DECENNI DI ANSIA da «insicurezza», spesso costruita a tavolino per esorcizzare ben altre forme di disagio e malessere diffusi nella società, hanno fatto la fortuna di organizzazioni private in grado di declinare i temi, e le risorse securitarie, secondo qualunque accezione sia proposta o richiesta. Strutture cresciute in forme ipertrofiche fino a costituire un’alternativa, o se si preferisce una sorta di doppelgänger, rispetto alle forze dell’ordine o gli apparati di intelligence pubblici e tradizionali.

Non solo. Polizie o piccoli eserciti privati, che reclutano i propri effettivi tra ex agenti, carabinieri, contractors o appartenenti ai corpi speciali dell’esercito, ma sono gestiti da consigli d’amministrazione simili a quelli delle società per azioni, che finiscono per detenere una tale quantità di informazioni, di «segreti», di dossier da costituire a loro volta degli autentici centri di potere. Anzi, forse, sono i depositari di un potere che né le istituzioni e i loro rappresentanti, ma neppure i gruppi economici e chi ne è al vertice, detengono.

In ogni caso, e questo è l’altro sottotesto della storia raccontata da Carlotto, l’intero gioco si svolge nel campo del potere, dei suoi intrighi, dei suoi misteri, dei suoi protagonisti: si tratti dei vertici della sicurezza privata, dei loro committenti in Parlamento come nel Governo, di tutte quelle figure intermedie tra questo o quel mondo «che conta» che popolano un universo che si basta, che del resto del Paese si direbbe non sappia che farsene. E le cui sorti, comunque, non interessano loro minimamente.

Non sembri marginale o capzioso l’insistere su questo punto, perché è nell’indagare con l’abituale grazia e l’altrettanto consueta determinazione «il sistema» che è al centro del libro che Massimo Carlotto riesce nell’intento di raccontare l’Italia del presente. Forzando, solo in parte, la realtà grazie all’artificio narrativo del romanzo poliziesco. Difficile infatti non scorgere nelle pagine di Trudy un’inquieta allegoria della società italiana, della crisi democratica e della rappresentanza che sta attraversando, delle derive, per altro di lungo corso, che ne caratterizzano l’incedere sempre più claudicante.

IN OLTRE TRENT’ANNI di attività, dalle indagini dello strampalato investigatore ribattezzato l’Alligatore, fino alla serie delle Vendicatrici, firmata con Marco Videtta, e passando per decine di titoli, tra cui Arrivederci amore ciao e i recenti La signora del martedì e Il francese, Carlotto ha incarnato, pur muovendo da uno stile e una lingua riconoscibili ma pronti a mutare ad ogni avventura, la capacità del noir di mostrare l’estrema normalità del crimine, specie quando è inestricabilmente intrecciato con i rapporti di potere, sul piano collettivo quanto intimo e personale.

Con Trudy si ha così l’impressione che si compia un nuovo passo, attraverso un’algida descrizione delle maschere che i potenti, vecchi e nuovi, sono in grado di indossare in quest’epoca, ancora una volta di transizione della realtà del Paese. Volendo ricorrere ad un paragone con un altro protagonista del giallo europeo, con l’ultimo romanzo di Carlotto viene da pensare ad alcune opere di Jean-Patrick Manchette, a quello sguardo apparentemente freddo ma implacabile rivolto alla Quinta Repubblica francese di De Gaulle, ai suoi sporchi segreti e agli assetti invisibili del potere parigino, ma senza quell’apparente mancanza di empatia verso i personaggi che caratterizzava lo scrittore d’origine marsigliese.

Per Massimo Carlotto, al contrario, ogni figura merita attenzione, anche se tra quelle che appaiono nelle pagine di Trudy sono davvero poche a suscitare la simpatia del lettore. La chiave del romanzo ruota intorno alla scomparsa di un ricco commercialista della provincia di Lecco, Federico Riva, un uomo abituato a restare nell’ombra, se non fosse per qualche scappatella sentimentale, ma al centro di un nucleo di interessi enorme, tanto da far parlare alcuni dei protagonisti di un vero «sistema Riva». Si potrebbe parlarne come di un cassiere dei potenti, in particolare del gestore di risorse in nero destinate al maggiore partito di governo.

Elementi che fanno capire perché, quando di Riva si perde ogni traccia, siano in molti a preoccuparsi. E qui entra in gioco la Nsg, la Novo Security Group, «un’azienda» in grado di indagare su misteri che si preferisce restino tali anche al termine di ogni verifica. La più importante di un settore in rapida crescita, forse «per il senso di insicurezza che permeava la società italiana», «la Nsg rappresentava il livello più alto di specializzazione, ma il settore nel suo complesso era in grado di rispondere a tutte le esigenze. Con molta discrezione».

TRA I RESPONSABILI della Nsg, un ex commissario di Polizia, Gianantonio Farina, reclutato quando ancora svolgeva le sue funzioni ufficiali, e detto «il Grigio», perché reputato il più adatto ad occuparsi delle vicende più riservate che spesso albergano lungo il confine tra legale e illegale. Sarà così lui, interlocutore per conto della società di sicurezza di un«veterano del Senato della Repubblica» saldamente al potere grazie ad una consolidata alleanza elettorale, ad occuparsi del caso Riva. Nel frattempo dovrà però anche occuparsi di una vicenda che rischia di creare non pochi problemi alla Nsg: uno dei loro uomini di base, Alex Semeraro, già buttafuori nelle discoteche del litorale toscano, ha quasi ammazzato di botte un sindacalista, impegnato a difendere i lavoratori del distretto del tessile di Prato, per conto di un piccolo imprenditore cinese. Si trattava di «un lavoretto» privato ma troppo esposto, incompatibile con le regole della Nsg.

Quanto alla Trudy del titolo, si tratta della moglie di Riva, Ludovica Baroni, che sarà pedinata e minacciata dopo la scomparsa del marito. È a lei, cui era già toccato in sorte di scoprire il lato oscuro della vita dell’uomo, la sua abilità nel «fottere la gente» e arricchirsi grazie al denaro sporco che maneggiava, che spetta nella storia un anelito seppur esile verso un possibile riscatto. Anche se non si deve mai dimenticare che nessuno, ma proprio nessuno, è mai come appare.