Dobbiamo partire da una premessa: il Massaciuccoli è un grande malato, soprattutto sotto il profilo ambientale». Ismaele Ridolfi, presidente del Consorzio di Bonifica Toscana Nord va dritto al punto quando si parla del lago di Giacomo Puccini, incluso nelle aree umide di importanza internazionale e sulle cui rive che bagnano i comuni di Massarosa, Viareggio e Vecchiano in Toscana, dove ha vissuto per anni il compositore lucchese traendo ispirazione per le sue opere. Il lago sarebbe in serio pericolo di sopravvivenza. «Arriva poca acqua e l’iperproduzione di nutrienti provenienti dagli scarti dell’agricoltura – osserva il biologo Gilberto Baldaccini – lo ha messo in ginocchio. È il risultato di un lago sfruttato per lavoro».

UNO SFRUTTAMENTO iniziato nei secoli scorsi con lo scavo di banchi di sabbia silicea alla fine del 17esimo secolo. Sabbia presente sotto le torbe, sfruttate da fine ’800 per garantire energia. Le bonifiche degli anni ’30 del secolo scorso portarono a una riduzione della zona umida da 5 a 2 mila ettari, con terreni ceduti ad agricoltura e insediamenti. Le paludi di canneti furono ridotte mentre impianti idrovori pompavano acqua dai campi nel lago. E la qualità delle acque iniziò a risentirne. «Mio nonno diceva che l’acqua era cristallina – ricorda Vittorio, che dagli anni ’60 passeggia intorno al lago – Poi lo sfruttamento ha portato morie di pesci, specie estinte e acque inquinate».

I PROBLEMI AUMENTARONO con lo sfruttamento intensivo. Per esempio con le cave che arrivarono a creare voragini a cono di 18-20 metri, visibili anche dal satellite, alterando i fondali anche per la loro conformazione: durante i periodi di alta marea e libeccio, l’acqua salata stoppata dalle porte vinciane di Viareggio, entra e si deposita, non riuscendo più a uscire. Alla bisogna le idrovore pompano acqua dai campi e la subsidenza porta a terreni intorno al lago che si abbassano al ritmo di 2-4 centimetri l’anno, arrivando a 3-4 metri sotto il livello del mare. «Prima al lago arrivavano sorgenti collinari, poi scarti depurati – sottolinea Riccardo Cecchini, presidente di Legambiente Versilia – Con l’arrivo di fertilizzanti e diserbanti, gli input chimici hanno fatto quasi scomparire la vegetazione sommersa e la trasparenza delle acque si è ridotta a 50-60 centimetri».

LA SCOMPARSA DI TANTE PIANTE porta a cambiamenti nella fauna. Se alcune specie di volatili come aironi, garzette e tarabuso continuano a riprodursi nel lago, una delle zone a protezione speciale europee per la tutela dei selvatici, altre praticamente si estinguono. «Visto che vi trovavano da mangiare, sul lago svernavano anche 15-20 mila folaghe ogni anno – spiega Andrea Fontanelli, responsabile dell’Oasi Lipu di Massaciuccoli – e in virtù dell’alto numero si faceva un tipo di caccia particolare che ne faceva una mattanza, uccidendone anche 4-5 mila in pochi giorni. È stata fatta fino al 1957, quando è stata sospesa perché nel lago ne venivano sempre meno. Nell’ultimo censimento degli svernanti, ne abbiamo contate 53».

ANCHE I PESCI NE RISENTONO. Tanti praticamente scompaiono. Come la tinca, uno dei piatti tipici di Massarosa, la scardola e il luccio, poi reinserito. Un fatto dovuto sia all’arrivo di specie aliene, sia all’aumento dei nutrienti nel lago che hanno fatto proliferare alghe tossiche. «Il loro aumento – spiega Baldaccini – ha comportato anche una leggera salinità delle acque portando alla comparsa della prymnesium parvum, un’alga microscopica che fiorisce arrivando a picchi che diventano poi tossici per i pesci. E morie come è successo quando è arrivata la Mycrocistis aeruginosa. Il problema è che nel lago, arriva poca acqua».

PER CERCARE DI RISOLVERE IL PROBLEMA qualcosa si era mosso. Se ai problemi esistenti si erano aggiunti quelli di aver creato nell’area del lago, zona industriale, discarica e impianto di compostaggio – «oltre ad abbandonarvi rifiuti come continua ancora oggi» sottolinea Moreno Farnocchia del Kayak Versilia – il Parco di Migliarino San Rossore, nato a fine anni ’70, aveva iniziato a intervenire. Negli anni ’90 fece cessare l’estrazione delle cave. Poi nei primi anni duemila, a seguito di studi, si fece portatore di proposte per aumentare l’acqua nel lago come il «tubone», un collegamento col fiume Serchio che doveva immettere 3 metri cubi di acqua al secondo nei mesi più caldi. Dal ministero dell’ambiente si stanziarono i fondi, 20 milioni di euro, ma non se ne fece di niente.

NEL 2019 FU FIRMATO IL «CONTRATTO di Lago», un accordo volontario coordinato dal comune di Massarosa con vari enti tra cui Parco, Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Settentrionale, Consorzio di Bonifica, i comuni di Viareggio e Vecchiano e l’Università di Pisa. Sembra la svolta. «Nel dopoguerra Lago e Padule erano diventati una vera e propria area industriale – aveva detto alla firma il presidente Giovanni Maffei Cardellini – adesso programmiamo una serie di azioni per invertire la rotta». Tra gli interventi, da realizzare usando come base i fondi stanziati in precedenza dal ministero, non c’era più il «tubone» ma il «tubino»: sempre un raccordo Serchio-Massaciuccoli con costi minori e portata dimezzata secondo nuovi studi. «L’utilità – spiega Ennio Paris, professore dell’Università di Pisa che ha seguito il progetto – sarebbe immettere acqua nel momento in cui il lago risulta asfittico. Un giovamento anche per l’ecosistema. Perché sia rimasto lettera morta, non l’ho capito». Anche se rientrante nel «Contratto», il tubino è un accordo di programma tra enti e ministero. I temi si intrecciano ma sono su binari diversi. Dopo la firma, il Consorzio ha fatto un lungo lavoro progettuale, oggi in fase definitiva e sottoposto alla Regione. «Il lago ha delle criticità che tutti vogliamo affrontare ma non è facile mettere insieme tutti i soggetti – ammette Mario Navari, assessore all’ambiente di Massarosa – Anni fa c’erano interessi contrapposti e ora non li vedo più, anzi. Vedo più un limite alle risorse».

INSIEME AL TUBINO, TRA PROGETTI e interventi, il Consorzio – che non ha competenze dirette – porta avanti numerosi lavori sia di tutela ambientale, come impianti di fitodepurazione, che sugli argini per ridurre il rischio idrogeologico dovuto a subsidenza, innalzamento del mare e piogge straordinarie. «La scommessa è cercare l’equilibrio tra salvare una risorsa idrica ed evitare che il lago diventi una minaccia – spiega Monica Bini, geologa dell’Università di Pisa – Una visione lungimirante sarebbe riallagare alcune zone».

IL RIALLAGAMENTO DI ALCUNE ZONE, è tra i progetti. «Farlo vorrebbe dire creare ambienti di fitodepurazione naturale dove la flora acquatica può ritornare – puntualizza Antonio Barsanti, veterinario della Asl – Oggi si pompa acqua con costi infiniti, ci sono terreni 7-8 metri sotto il livello del mare: mantenerli asciutti è insostenibile. In passato è stato fatto tutto quel che di sbagliato si poteva fare, oggi dobbiamo fare quel che è giusto. Sperando di essere ancora in tempo».